
il racconto da firenze
Salvini vuole il Viminale, per ora si tiene la Lega
Segretario fino al 2029, incorona Vannacci come suo successore. Il leader del Carroccio vede già il ministro Piantedosi a Napoli per prendere il suo posto, ma da Forza Italia dicono: "Il governo va bene così"
Firenze, dal nostro inviato. Il futuro è il suo passato. E’ Salvini di San Secondo: chiede il Viminale per fare il ministro la seconda volta, vuole tornare primo, al trenta per cento, ancora, rilascia la tessera a Roberto Vannacci per farlo vice, secondo. L’immigrato è ora Matteo Piantedosi che, per Salvini, “è un amico, un ottimo ministro, ma è mio dovere ascoltare quello che i sindaci e gli elettori chiedono”. Non gli passa. Lo sogna anche di notte, per lui il Viminale è for love. Il Congresso della Lega, due giorni a Firenze, alla Fortezza da Basso, serve a far titolare ai giornali: “Salvini chiede il Viminale”, per rilanciare Vannacci, per far annunciare a Musk che ci aspettano “massacri”, per aumentare la vendita dei rosari e di “ovunque, proteggi”. Nel mondo sono rimasti in due, sempre due, i due segretari di partito più longevi: Salvini e Xi Jinping. Viene riconfermato segretario della Lega, ancora, candidato unico, come il presidente cinese, segretario del Partito comunista, ma Salvini fa sapere che questo è il suo ultimo mandato, fino al 2029, il suo terzo, perché qui “c’è già il prossimo segretario federale”. Tutti guardano Vannacci, il neo tesserato, e dalla sala, neon blu, tappeti blu, un leghista si avvicina e dice all’orecchio dei giornalisti: “E’ come se lo avesse indicato suo successore. Hanno l’accordo. Tra quattro anni Salvini molla e Vannacci fa il segretario”.
Umberto Bossi, e lo racconta sempre Salvini dal palco, lo chiamava alle tre di notte per rimproverarlo: “Tu non capisci niente. Non hai capito nulla”. Lo diceva Bossi. Due giorni di congresso a cosa servono? A comprendere che Salvini ha già spedito Piantedosi a Napoli, c’è sempre una Tirana più a Tirana, candidato governatore di centrodestra, e che ha bisogno di rimpasto, il Salvini-Meloni II. Da Roma, Raffaele Nevi, il portavoce di Forza Italia, il Kraus del “Salvini paraculetto”, manda a dire “che ognuno è libero di chiedere quello che vuole ma il governo va bene così”, ma da Firenze gli risponde Riccardo Molinari, il capogruppo Lega, il primo che ha chiesto il Viminale per Salvini: “Forza Italia dica quello che vuole”. 679 delegati scoprono alle 11 di mattina che il generale Stivalone, Vannacci, in realtà è il generale mocassino e che da domani è leghista per intero. E’ in crisi di creatività, non scrive più libri di successo ma fa spirito: “Tesserato? No, temperato”. Si prende la tessera della Lega, gliela consegna Salvini, “sono orgoglioso di consegnarla”, e dal palco straparla di fisica come fosse un ragazzo, il fisico, di Via Panisperna: “La forza è massa e la forza è massa per accelerazione, e l’accelerazione è la derivata della velocità”.
La Lega è parà. I leghisti hanno rieletto un segretario, Salvini, ma hanno trovato anche il sostituto. Non lo ama nessuno, a eccezione di Claudio Borghi, che twitta “combattere”, Susanna Ceccardi quando lo vede cambia strada, ma lo devono dire sempre a denti stretti, anonimi: “Vannacci è un fenomeno, ma si è sgonfiato. Ne serve un altro, magari, alla prossima, candidiamo la zanzara Cruciani”. Vannacci li sposta a destra, ancora più a destra, come se già non lo fossero, e gli storpia pure la lingua, la vecchia lingua del rutto e della canotta, di Miglio, perché ora il gergo è quello dell’aviazione vannacciana: “La mia missione è iniziata ma si porta a termine solo insieme. Nel 2024 Salvini mi ha aperto le porte di un grande quadrimotore e poi mi ha portato ad alta quota, mi ha spalancato la rampa che mi ha visto precipitare nel vuoto, ma poi si apre il paracadute”. E’ la stessa lingua di Vox, del portavoce Fúster che urla: “Peggio dei dazi di Trump è la truffa dei codardi socialisti”. Il vicesegretario Claudio Durigon, allegro, amato, e davvero da tutti, spiega “che è meglio avere Vannacci dentro che fuori”, che da due anni e mezzo si sono scritte solo falsità, che Salvini “non è mai stato messo in discussione. Voi giornalisti chiederete scusa?”. Scusa. Finisce di domandarlo e Meloni manda il suo messaggio, di saluto, e anche lei, come i giornalisti, fa ammenda: “Nessuno è perfetto, abbiamo sbagliato e sbaglieremo ancora” ma “condividiamo la stessa visione del mondo, andremo avanti fino a fine legislatura”.
Chi non sbaglia? Giancarlo Giorgetti sequestrato, presidente di Congresso, per due giorni, ricorda che Bossi, un tempo, diceva sempre “l’uomo non è una bistecca” e che la scelta difficile è “tra la felicità e la libertà” come si legge in quel grande romanzo che è “I fratelli Karamazov”. I leghisti hanno scelto la felicità. Quante volte hanno immaginato un futuro senza Salvini e quante volte ancora, di spalle, hanno sognato una Lega che parla come Luca Zaia, presente sabato: “Siamo leali ma non fedeli, la fedeltà è dei cani” o come Massimiliano Fedriga che suggerisce di raccontare la complessità del governare, di non avere paura di perdere consenso e che a “Report” risponde: “Per me Unicredit è una banca italiana. Salvini pensa il contrario? Io non sono il ventriloquo di Salvini”.
Il titolo del congresso è “il coraggio della libertà”, ma chi ha mai avuto il coraggio di dirgli che schiacciarsi sui Patrioti era sbagliato? Nessuno, tanto che Salvini invita: “Non bisogna dire sempre Salvini bravo” e poi che “non possiamo sostituire la vita reale con quella virtuale” prima di prendersi un pezzo di primo maggio e 25 aprile: “Giù le mani dalla storia italiana”. Risulta perfino brillante quando fa il segretario giornalista, il Vespa da Giussano, quando si collega con Elon Musk, con Marine Le Pen, condannata, sofferente perché “è stata fatta violenza su di me”. Sono la famiglia punkofascia e ormai neppure spaventano. Stanno invecchiando anche loro come scriveva Vitaliano Brancati, a volte capita che se ne aggiungano di nuovi come la greca Afroditi Latinopoulou, del partito Phonì Logikis, che ammutolisce la platea, “bellissima”. Deve ancora intervenire ma per i leghisti è già “Bravaaaaa!” a prescindere. Si spella le mani Salvini, emozionato, con lacrimuccia, prima di farsi boscaiolo, perché in Europa “serve la motosega di Milei contro i burocrati”. La platea viene giù, ma Giorgetti, lo sente, e non applaude. E’ presente anche Antonio Angelucci, il deputato leghista, l’editore, in lotta contro le inchieste di La7, “ho dato mandato ai miei legali di procedere”, che risponde a Roberta Benvenuto, di “Piazza Pulita”. E’ lei l’inviata che ha strappato al vice della Lega, Andrea Crippa, l’intervista, la frase titolo, che noi, giornalisti di carta e di web, abbiamo tutti trascritto il giorno prima: “Piantedosi in Campania”.
Ha ragione Durigon quando dice che sono passati dodici anni ma che Salvini non passa di moda. Lo chiamano ancora “Matteo il capitano” e gli riconoscono che hanno una casa e guidano belle auto, “grazie” a lui. Grazie. Non è l’autonomia la bandiera della Lega, ma la rendita. Lo applaudono quando fa il mezzo duro perché “non si possono lasciare pezzi di città a gentaglia”, quando tira fuori dall’armadio di via Bellerio il poster che ha fatto la storia della Lega, quello del capo indiano con la frase: “Loro non hanno potuto mettere regole all’immigrazione e ora vivono nelle riserve”. Viene applaudito quando ricorda Berlusconi in foto con Bush, “Grazie, Silvio per quello che hai fatto”. Cambiano lo statuto di partito e non c’è neppure un astenuto, anche solo per fare scena. Salvini dice dal palco che entrare nel governo Draghi “è stato un male necessario”, ma in terza fila, l’ex ministro di quel governo, Garavaglia, che ha fatto bene, in quel governo, non fiata. Per Stefano Candiani è un congresso dolcissimo, come la schiacciata fiorentina, ricco di ospiti, anche il confindustriale, il presidente Emanuele Orsini che vuole trattare “da domani con i paesi del Mercosur”, e c’è pure eco di Cuccia quando Salvini usa la frase “I voti non si contano ma si pesano”. Le parole più belle, di Salvini, sono per Vittorio Sgarbi che sta lottando contro quel male, la depressione, la malattia che rende ciechi i girasoli. Su 25 eletti al Consiglio federale 14 sono del nord, il Lazio ne elegge tre, mentre Vannacci fa le primarie dei selfie con Salvini. Sono così trascorsi 12 anni da segretario, sette anni dal Viminale, il suo unico amore politico e la ricerca di Salvini si è ormai fatta straziante. E’ come quella di Chow nel film “In the mood for love” di Wong Kar-wai, il protagonista che non si rassegna alla perdita, al passato, “qualcosa che può vedere, ma non può toccare, e tutto ciò che vede è sfocato, indistinto”.