Il racconto

Violante in "carrozza": "Terzo mandato? Un asse: Trump, De Luca Zaia. Serve un limite. Meloni è saggia ne vuole solo due"

Carmelo Caruso

L'ex presidente delle Camera in attesa delle decisione della Consulta sul terzo mandato in Campania: "Tre mandati bastano, la democrazia esige il limite. Il vice della Lega, Crippa: "Se vince De Luca cambia tutto"

Roma. Luciano Violante, il terzo mandato e la “carrozza”. Presidente, che ci fa qui, in Transatlantico? “In verità sono venuto a prendere un boccone”. Lei è la bocca della giustizia, ex presidente della Camera, il comunista, l’ex magistrato.  “Grazie, posso avere una melanzana in carrozza?”. Il terzo mandato è un calesse. Oggi decide la Consulta, arriva la sentenza che può cambiare tutto. “E io che c’entro?”. Ha mai dichiarato sul terzo mandato? “No”. E’ il momento di farlo. “Il terzo? E allora perché non il quarto?”. Forse è meglio stare leggeri con i mandati? “Se non sbaglio lo vuole De Luca, Zaia e ora anche Trump. Gli propongo di fare un asse, tutti insieme. I terzisti”. Meloni ha detto che a lei ne bastano due. “E certo, due governi di seguito non ci sono mai stati. Lo dice per questo. Bravissima. Sa dov’è il fazzoletto?”.


Quando un comunista arriva alla buvette di Montecitorio, il comunista è panato. Violante al bancone chiede: “Ma questa è una mozzarella in carrozza?”. Il buvette-man al cosacco per Meloni (dal dizionario fantasioso Fazzolarousse: cosacco per Meloni è il sinistrutto ammaliato dalla premier che aspira al Quirinale. Es. Violante, Minniti, D’Alema, Finocchiaro) risponde che in verità trattasi non di mozzarella ma di melanzana in carrozza. Violante affamato: “Va bene, la prendo”. Presidente, solo un attimo. “Oh, che piacere” (non è vero, l’ultima volta ci ha spedito teneramente a lavare i piatti ma il piatto adesso lo vuole lui). Dicevamo, presidente Violante, che c’è grande attesa per questa decisione, lei ne sa qualcosa, come finisce? Scommettiamo? “Ma per chi mi ha preso? Per il primo parlamentare che passa. Ho esperienza”. Augusto Minzolini, che da giornalista della Stampa, nel 1994,  a  una settimana dal voto, lo fece dimettere da presidente della Commissione Antimafia, ci manda un messaggino: “O anticipa l’esito altrimenti si cambia pezzo. Legge elettorale”. Presidente, ragioniamo sui limiti, sulla democrazia, sulla complessità del potere (chiedere a Violante di parlare di “limite” e “democrazia” è come chiedere a Ezio Mauro di parlare di Lenin e dei soviet). Il cosacco per Meloni si accende: “La democrazia esige un limite. Ovviamente quel limite va applicato per le cariche amministrative, di governo. Il problema si pone quando il limite di governo si scontra con le ragioni di buon governo”. Accipicchia. Per chi non lo sapesse, l’intesa fra Violante e Meloni è nata così. Lui fa il drammaturgo, a Siracusa, al Teatro Greco, mette in scena la Clitemnestra, e lei prende un aereo e va a vederlo, rapita. Presidente, a chi si riferisce quando parla di buon governo? “Zaia è un esempio di buon governo e i veneti chiedono che si ricandidi. Ecco un chiaro caso di rovello: la volontà popolare e l’esempio di buon governo confliggono con la necessita del limite”. Si sta precipitando pericolosamente in area Sofocle, tragedia, e analisi da Istituto del dramma antico, e la carrozza sta pure scomparendo dal piatto. Presidente, quindi, il limite serve o no? “Secondo me serve un limite di tre”. Meloni si ferma a due, lo abbiamo detto, e lo ribadiamo al cosacco. “Saggia. Due governi di seguito non ci sono mai stati, ci si ferma un giro e si può ricominciare”. Sorriso.  Ma la sentenza, presidente? “E che ne so?”. Per fortuna prima di salire in carrozza, e melanzana, avevamo raccolto delle mollicuzze. Andrea Crippa, il vice Lega, il Renato Salvatori di Poveri ma Belli e salviniani, dice al Foglio che per lui è “uno, X, due. Chi lo può dire come finisce? Ma se oggi la sentenza dà ragione a De Luca si apre uno nuovo scenario, cambia tutto”. A Napoli ci informano che hanno chiamato il meglio del meglio dei giureconsulti ovvero il principe del foro Giandomenico Falcon (emerito di diritto pubblico all’università di Padova, decano degli avvocati costituzionalisti, ma anche il professore Marcello Cecchetti, esperto regionalista, e Aristide Police). In cortile, Marco Sarracino, il Careca di Elly Schlein, avvisa che questa è “l’ora del cialtrone” dove ognuno dice la sua. E infatti la dicono. Ognuno ha voci di dentro, quirinalesche, consultesche. A Firenze, al Congresso Lega, girava questa: “La Consulta è ancora di sinistra e potrebbe fare uno sgarbo sia a Schlein sia a Meloni”. Orfini & Amendola, i nostri Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini Pd, dicono: “Mai sentita questa”. Michele Gubitosa, il vice Conte, che indossa le regimental, dichiara che se la Consulta dà ragione a De Luca “per noi non cambia nulla. Il Pd non ha mai messo sul tavolo la candidatura di De Luca”. In FdI, come va, va, va bene in ogni caso: “Il Veneto tanto lo dobbiamo lasciare alla Lega altrimenti vengono con il tanko e noi ci prendiamo la Lombardia. Fossi in Schlein noi stare tranquilla. Sicura che in Campania vince con De Luca contro?”. Piantedosi che oggi va da Mattarella sì, ma a cena, in smoking alla cena dei reali, resta al Viminale, Edmondo Cirielli e Gianpiero Zinzi sono due validi candidati per la destra, ma Mara Carfagna avrebbe più possibilità. Ah, ma la carrozza? Presidente, Violante, sa cosa ha detto Massimo D’Alema, ieri, ricordando la Velina rossa, Pasquale Laurito? “Laurito amava D’Alema”. Ha detto che “Pasquale ha tradito a volte l’opportunità, ma mai il mio pensiero”. I comunisti hanno una melanzana in più.

 


 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio