
(foto EPA)
l'editoriale del direttore
Oltre le borse c'è di più. Perché Trump può fare bene all'Europa
Più prontezza sulla difesa, più sensibilità sul libero mercato, più centralità per la competitività. L'andamento dei listini ha fatto molta paura, ma lo tsunami trumpiano è ancora un’opportunità. I dazi un giorno andranno, l’efficienza può restare
I dazi andranno, l’efficienza può restare. Quello che stiamo per scrivere è un pezzo tanto ottimista quanto irresponsabile che proverà a dimostrare un fatto che in queste ore – nelle ore dei dazi violenti, così violenti che hanno spaventato anche Trump che ieri ha annunciato una moratoria di novanta giorni su alcuni dazi reciproci, nelle ore degli scazzi transatlantici, nelle ore delle borse che collassano – sembra difficile da confutare e che pure però, allargando la nostra inquadratura, sarà semplice da verificare. La questione in fondo è estremamente lineare, ovvia, anche se controintuitiva, diciamo, e riguarda un altro lato interessante del trumpismo, un altro lato dello tsunami populista che sta ribaltando il vecchio ordine mondiale. Quel lato ha a che fare con il nostro continente, con l’Europa, e per quanto possa sembrare paradossale, tirate le somme, finora il trumpismo sull’Europa ha avuto un effetto più benefico che malefico e ha spinto l’Europa verso una direzione di crescita sorprendente, persino entusiasmante. Qualche esempio per provare a capire di cosa stiamo parlando. Da quando Trump è arrivato alla Casa Bianca, tanto per cominciare, il dibattito europeo sul tema della Difesa ha registrato un salto di livello, in positivo, e prima delle minacce rivolte da Trump all’Europa, non vi difenderò più se voi non vi allineerete alle richieste della Nato, i soldi stanziati dall’Ue per la Difesa erano due miliardi mentre oggi nel peggiore dei casi i miliardi sono diventati 150 (sono i miliardi generati con debito comune, all’interno del piano Prontezza 2030) e nel migliore dei casi i miliardi possono diventare 800 (è la somma tra i 150 miliardi stanziati a livello europeo, come debito comune, e i 650 miliardi nelle disponibilità degli stati europei, utilizzabili sfruttando la flessibilità offerta dalla Commissione). Da quando Trump è arrivato nuovamente alla Casa Bianca, ancora, le borse europee, al netto del collasso mondiale degli ultimi sei giorni, hanno performato meglio rispetto a quelle americane, segno che gli investitori, dovendo ragionare sul continente su cui scommettere nel futuro, hanno intravisto più opportunità in Europa e meno negli Stati Uniti (tra il 20 gennaio e il 1° aprile 2025, l’indice Stoxx Europe 600 ha guadagnato il 5,2 per cento. Superando così la performance dell’S&P 500, che è aumentato del 2,5 per cento, e del Nasdaq Composite, che ha registrato un incremento dell’1,7 per cento).
Da quando Trump è arrivato alla Casa Bianca, ancora, la cooperazione tra Regno Unito e Unione europea è tornata a essere più forte, e seppure la Brexit, per ora, non sia in discussione, i tentativi di riallacciare i rapporti tra Ue e Regno Unito si sono intensificati e non solo sui temi che riguardano la difesa dell’Ucraina (il Regno Unito non confina con l’Ucraina ma è il paese più attivo anche militarmente ed economicamente nel voler garantire una difesa dei confini europei, sapendo che i confini dell’Ucraina non sono solo i confini di un paese aggredito ma sono i confini della nostra democrazia). Da quando Trump è arrivato nuovamente alla Casa Bianca, ancora, la centralità del libero scambio è tornata a essere un elemento di discussione solido per molte leadership europee e seppure vi sia la tentazione in alcune cancellerie europee di rispondere ai dazi di Trump con altri dazi (come ha fatto ieri l’Unione europea, che ha applicato nuovi dazi del 25 per cento su una serie di prodotti statunitensi) è anche vero che un pezzo importante dell’Ue ha compreso che di fronte a una ondata protezionistica sia necessario cercare nuovi accordi commerciali per diversificare i propri partner (in attesa dell’accordo del Mercosur, l’Ue e l’India stanno lavorando per concludere un accordo di libero scambio entro la fine del 2025, il 17 gennaio, l’Ue ha concluso i negoziati per modernizzare l’accordo globale con il Messico, il 20 gennaio l’Ue e la Malesia hanno annunciato la ripresa dei negoziati per un accordo di libero scambio). Da quando Trump è arrivato nuovamente alla Casa Bianca, ancora, i sostenitori dell’integrazione europea hanno trovato nuova linfa, nuovo smalto, nuove ragioni per collaborare tra loro, e in questo senso la presenza di una destra europeista e antitrumpiana come quella guidata dal neo cancelliere Merz è una grande notizia per l’Europa (e lo sono anche i 500 miliardi di euro stanziati per un fondo speciale per infrastrutture, da utilizzare nell’arco di 12 anni per migliorare settori come trasporti, energia, istruzione e digitalizzazione, e i 500 miliardi di euro stanziati per incrementare la spesa per la Difesa). E in questo nuovo contesto in cui nulla è più dato per scontato anche i partiti che si trovano a disagio con le posizioni europeiste sono stati costretti a mostrare con chiarezza la propria identità e il proprio profilo europeista (il partito di Meloni, per dire, insieme con Forza Italia, è tra i pochissimi in Italia ad aver votato a favore del piano di riarmo, nonostante l’alleato riottoso, ovviamente la Lega). Da quando Trump è arrivato nuovamente alla Casa Bianca, anche grazie ai dazi, è diventato ancora più centrale un tema che sembrava insuperabile, ovvero la possibile sospensione o rimodulazione del Green deal, al fine di sostenere la competitività delle imprese (non doveva essere necessario l’arrivo di Trump per spingere l’Ue a bilanciare gli obiettivi ambientali con la necessità di mantenere la competitività industriale).
Da quando Trump è tornato alla Casa Bianca, infine, la presenza di restrizioni commerciali ha costretto alcune leadership europee a riprendere in mano alcuni dei temi dei rapporti Letta e Draghi, infilati nel cassetto del dimenticatoio da Ursula von der Leyen, e oggi persino gli antieuropeisti e gli euroscettici chiedono all’Europa di essere più forte, più coesa, più in grado di diventare grande intervenendo sui dazi interni (qualcuno dovrebbe spiegare ai patrioti europei, però, che le barriere interne in Europa esistono perché sono la somma delle resistenze messe in campo in questi anni da tutti i paesi che hanno fatto opposizione contro ogni forma di liberalizzazione del mercato). Fino a oggi, dunque, allargando lo sguardo, allargando la nostra inquadratura, l’Europa, dallo tsunami del trumpismo, ha tratto più benefici che malefici. Ha trovato stimoli per guardare avanti, per crescere, per essere più integrata, per guardare al futuro provando a ragionare finalmente su quello che gli europei possono fare per se stessi, per proteggersi, per crescere, per innovare, e non solo su quello che gli americani possono fare per noi. La strada da seguire dovrebbe essere quella, trasformare il trumpismo in uno stimolo utile a crescere, sapendo che i dazi non dureranno per sempre (anche quelli messi nel 2018 da Trump, in Europa, dopo tre anni sono stati rimossi, e per quanto la legge del taglione non è la migliore da usare per rispondere ai dazi di Trump, la speranza è che i dazi scellerati approvati ieri dall’Europa contro l’America possano essere utilizzati dall’Europa non come una strategia identitaria, rispondere al protezionismo con altro protezionismo, ma come un elemento di negoziato con Trump) ma sapendo che i cambiamenti strutturali dell’Europa quando si parla di efficienza, competitività, produttività, sburocratizzazione, integrazione potranno rimanere ancora a lungo, anche quando i dazi non ci saranno più. Make Efficiency Great Again.



FdI con Trump? Kiss my ass