Il caso

Meloni metropolitana, la mossa sui ballottaggi per governare le grandi città. A partire da Roma

Simone Canettieri

Presentato il ddl che evita il doppio turno al candidato supera il 40 per cento. Gualtieri in allarme. Ma la Corte costituzionale è cauta

Va bene il governo della nazione, d’accordo la guida di un pugno di regioni. Tuttavia il vero cruccio di Giorgia Meloni restano le grandi città, i centri metropolitani che finora, nonostante un partito intorno al 30 per cento, non riesce a conquistare. Fatale continua a essere il doppio turno, i tempi supplementari delle comunali quando il centrosinistra mosso dal richiamo della foresta – no pasaran! – fa accordi con chiunque pur di sbarrare la strada al centrodestra, che ultimamente c’è da dire non è che abbia tirato fuori aspiranti sindaci da leccarsi i baffi. Ma personaggi – a volta strampalati e grossier – in grado di massimizzare i voti al primo turno, salvo capitolare al secondo. Ecco, la mossa sui ballottaggi parte da qui. E guarda a Roma, Milano, Torino, Napoli.  

 

Le grandi città italiane andranno al voto con ogni probabilità nella primavera del 2027. Insieme alle politiche. Per quel periodo potrebbe essere andata in buca la palla tirata dal centrodestra in queste ore sul tappeto verde del Senato: il ddl Ballottaggi. Il disegno di legge prevede che “è proclamato eletto sindaco il candidato che ottiene il maggior numero di voti validi, a condizione che abbia conseguito almeno il 40 per cento dei voti validi”. La norma interviene sui comuni sopra ai 15 mila abitanti. Il testo porta le firme pesanti dei capigruppo di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia: Lucio Malan, Massimiliano Romeo e Maurizio Gasparri. Per placare le critiche delle opposizioni di queste ore, il centrodestra non ha trovato di meglio del “caso Campobasso”. Quando nel 2024  il candidato in assoluto più votato non è risultato eletto sindaco. Il candidato di centrodestra ha raccolto al primo turno 12.874 voti, fermandosi al 47,9 per cento e al secondo turno ha perso contro la candidata del centrosinistra per nemmeno 400 voti (51 a 49 per cento), pur avendo questa ottenuto soltanto 10.510 voti. La nobile motivazione, più alta di questo colpo di spugna che rischia di cambiare la geografia dei comuni introdotta nel 1993, è scritta nel ddl. Si tratta, come si legge nel testo, di un antidoto contro “una distorsione nell’esito delle elezioni amministrative che rischia di diventare, ad oggi, patologica: il ballottaggio registra una sempre minore partecipazione da parte degli elettori”.
                 

Il caso sta deflagrando. Il primo tentativo di modificare il doppio turno era stato tentato con un emendamento al dl Elezioni, poi stoppato in maniera informale anche dal Colle. Adesso si ricomincia e sul caso è intervenuto ieri anche il presidente della Corte costituzionale, Giovanni Amoroso con parole molto, ma molto caute. In quanto, ha detto, “abbassando la percentuale  il principio della parità di voto va in sofferenza. Perché  il ballottaggio “non è un premio di maggioranza ma ci va vicino: è sempre un problema di bilanciamento tra principio di parità di voto e governabilità e questo va verificato nel contesto normativo riferito alla realtà territoriale”. 

 

Giorgia Meloni e Ignazio La Russa teorizzano il cambio di norma con cadenza puntuale, soprattutto dopo i secondi  turni delle amministrative quando per una serie di circostanze alla fine la destra non sfonda o perde feudi importanti. Chi in queste ore è molto sulle spine è Roberto Gualtieri, sindaco di Roma, ormai al lavoro per succedere a se stesso quando si rivoterà per il Campidoglio nel 2027. L’ex ministro dell’Economia è stato tra i primi a giudicare “gravissimo”  questo cambio in corsa. Il caso Roma, come sempre, fa scuola. Dentro Fratelli d’Italia c’è chi sostiene che con l’intervento sui ballottaggi l’obiettivo questa volta è più che alla portata.  Dimenticando l’esperienza psichedelica di Enrico Michetti, in Via della Scrofa hanno da tempo le idee chiare: in corsa ci sarà un candidato politico e non pescato dalla società civile. Questo cambio di scenario, secondo i vertici romani del partito di Meloni, potrebbe rimettere in gioco la figura di Fabio Rampelli considerato molto competitivo al primo turno e meno al secondo. Motivo per il quale nei mesi scorsi la suggestione di Luciano Ciocchetti, deputato di FdI con pedigree democristiano, aveva preso quota. Il candidato di centrodestra, figlio di una coalizione rodata, è chiaro che avrebbe molte più possibilità di Gualtieri, che si troverebbe costretto a stringere accordi con tutti nel campo largo, a partire dal M5s che a Roma continua a essere quanto di più lontano dal Pd esista (è stata la città, come si sa, governata da Virginia Raggi).  Se Milano andrà, come sembra a Maurizio Lupi leader di Noi moderati, la capitale è cosa di Meloni. Tuttavia dalle parti della Lega c’è chi fa circolare la suggestione (di disturbo) di Roberto Vannacci, l’eurodeputato del Carroccio (21.194 preferenze a Roma), fresco di tessera del partito di Salvini e di tour alla stazione Termini con lo youtuber Simone Cicalone. Schermaglie, certo. Ma per la prima volta dalle parti del centrodestra le luci della città iniziano a farsi nitide, grazie a questa manina invisibile. Che è non quella del mercato, bensì dei ballottaggi.
    

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.