(Ansa)

L'intervista

Rearm Salvini. Mulè (FI): "Il ministro è un fedelissimo della linea del governo, pure sull'Europa”

Francesco Gottardi

Il vice presidente della Camera difende la lealtà del vicepremier leghista al governo, nonostante le sue dichiarazioni sovraniste contrastino con il suo supporto alle politiche europee e Nato. La Lega appare più in sintonia con l'Europa di quanto non sembri dai suoi comizi

Riarmo no, armi sì. E insomma, ci risiamo col bipensiero di Salvini. “Fa l’equilibrista”, dice Giorgio Mulè, con tono paterno targato Forza Italia. “Sospeso su un filo nel vuoto, fra due grattacieli: finché riesce a non cadere, tanto di cappello”. Basta un alito di vento. Una delibera in più. “Ma il leader della Lega, prima ancora di essere abile, si continua a dimostrare leale: giovedì alla Camera è stata messa ai voti una mozione unitaria di maggioranza. Ed è passata compatta, senza eccezione alcuna, a differenza di quel manicomio che si riscontra all’opposizione”. Così i reiterati urlacci del Carroccio, che in Europa vuole farsi vedere il più possibile antisistema, bastian contrario, sovranista e capoccione, alla fine della fiera si sono rivelati una cosa soltanto: fuffa. Salvini dice sì al riarmo, nero su bianco a Montecitorio. Il resto è aria fritta per i contorti polmoni dell’elettorato leghista. “Ma perché chiamarlo piano di riarmo?”, incalza il vicepresidente della Camera, nonostante l’evidenza formale indicata da Bruxelles – anche se in effetti, l’iniziativa ReArm Europe ha di recente cambiato nome in Readiness 2030, dopo le critiche bipartisan mosse da Meloni e Pedro Sánchez. “È stata costruita una narrazione falsa, facendo finta che stiamo qui a giocare a Risiko coi carrarmatini. La ratio di questo intervento non è corazzarci e partire, ma difenderci e metterci in sicurezza”. Mulè ne fa una questione di principio, mentre la sinistra s’indigna: proprio per l’omissione di “riarmo europeo” nel testo della mozione, alcuni deputati del Pd avevano chiesto di sospendere la votazione per manifesta inammissibilità (nulla di fatto, ovviamente).


“Questa mozione è solida, chiara e ben definita”, tira dritto il forzista. “Si andrà in Ucraina laddove ci sarà la pace, su mandato dell’Onu, previa autorizzazione del Consiglio di sicurezza. Nel frattempo l’Italia si assume gli impegni verso la Nato, per portare la spesa per la difesa al 2 per cento del pil. Si va inoltre verso una difesa nazionale che deve obbedire alla situazione corrente. Questi sono i pilastri della nostra politica estera, da parte di tutto il centrodestra, verso Kyiv e l’Unione europea”. Magnifico. Ma ciò come si concilia con il repertorio di Salvini? “Assurdo indebitarsi, L’Europa non segua i toni bellicisti, proporremo ai Patrioti l’alternativa” (ipse dixit, mentre il prode Vannacci ha ribadito a questo giornale che il piano comunitario si basa su “fattori geopolitici inesistenti”). “Avete ragione”, concede Mulè. “Per me esiste un unico binario, che passa dal Ppe a Forza Italia: il nostro voto in Parlamento si colloca esattamente in quest’ottica. Il problema ce l’ha Salvini, che dovrà motivare ai suoi l’appoggio a una mozione chiarissima nelle enunciazioni e nelle modalità”.


Intanto i pacifisti rosso-bruni sono insorti. Il M5s ha detto che Salvini “ha una bella faccia tosta, predica bene e razzola malissimo”. Per Avs – epiteto quasi novecentesco – “è un fanfarone”. Mulè sorride. “No, tutt’altro. Il vicepremier è un fedelissimo di questo centrodestra. Fino a quando la sua lealtà non viene meno, non posso che applaudire le sue acrobazie politiche. Basta che non si tradisca il patto unitario di governo, ecco”. Crisi in vista? “Macché. Al massimo una crisi di nervi. Ma a quel punto ci fermiamo, prendiamo un calmante e passa tutto”. Beati voi. “Ben inteso: fra tre giorni torneremo a litigare come dei pazzi”. Prego? “Ma sì, sulle regioni: Veneto, Campania, Lombardia. Sgomiteremo su tutto. Però al contempo sappiamo anche fare sintesi, soprattutto sulle tematiche più importanti come la posizione da tenere sugli affari esteri. La nostra intera coalizione è più coesa di certi partiti di opposizione al loro interno”.


E quindi, delle due l’una. Se i fatti dimostrano che Salvini è un europeista provetto, più vicino a Ursula che al suo amico Orbán, vuol dire che i suoi sferraglianti comizi – Milano, Pontida, Firenze – stanno alla politica come i salassi alla medicina. La Lega ci fa, ma non ci è. E forse, in fondo, lo sanno anche i suoi elettori. “Pensate anche alle ultime vicende americane”, suggerisce Mulè. “La marcia indietro di Trump sui dazi si può interpretare come l’atto di una persona capace e lungimirante; oppure come la pressione endogena rispetto al vicolo cieco in cui si era andato a cacciare il presidente degli Stati Uniti, prossimo a schiantarsi contro un muro che gli avrebbe scombinato la capigliatura. Ecco: Salvini la legge in un modo e ci tiene a manifestarlo. A me interessa il risultato”. Cioè, quando conta, zitto e vota.

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