
Luigi Marattin alla presentazione del Partito liberaldemocratico, l’8 marzo scorso a Roma (foto Mauro Scrobogna/LaPresse)
l'intervista
Operazione Libdem. Chiacchierata con Luigi Marattin
Che cos’è e che cosa farà il nuovo partito “anti ultrà” di destra e di sinistra, in aspirazione unitaria con chi ci sta, in slalom tra populismi e putinismi e in dialogo con gli ex terzopolisti (perché Calenda intenda)
È il 9 aprile, i reali d’Inghilterra sbarcano a Montecitorio e Luigi Marattin – economista e deputato di lunga esperienza, prima nel Pd riformista e in area Renzi e poi nel defunto Terzo polo con Italia Viva, partito da cui è uscito in polemica con la scelta del campo largo – è al suo primo atto concreto da cofondatore del neonato Partito liberaldemocratico. Ha appena presentato, infatti, una proposta di legge costituzionale per passare da due Camere a un’unica Assemblea nazionale da 600 membri. Cura choc? “Se la democrazia non funziona”, dice Marattin, “inutile invocare l’uomo solo al comando, come fanno i populismi arrembanti; dobbiamo riformare le istituzioni democratiche”. Intanto, il deputato sta viaggiando per l’Italia con il suo libro (“La missione possibile. La costruzione di un partito liberal-democratico e riformatore”, ed. Rubbettino). Ma, a prescindere dal libro, gira, va, vede gente. In due giorni è stato agli antipodi del paese, geograficamente e politicamente: a Torino, in zona automotive, e a Palermo, nel mercato di Ballarò, per capire le problematiche sull’assegnazione degli spazi pubblici. Con un intento collaterale: scrollarsi di dosso l’immagine di uomo di partito libdem tutto “tè delle cinque e lavagna professorale”. Ma un libdem secondo lei che cosa deve fare? “Come scriveva a inizio Novecento il poeta russo Vladimir Majakovskij, e lo cito pur essendo, come si sa, lontanissimo dalla Russia di ieri e di oggi, ‘non ti chiudere nelle tue stanze, partito, rimani vicino ai ragazzi di strada’”.
Sugli ex compagni di Italia Viva: “Come fanno a dire cose simili a quelle che diciamo noi e a portarle avanti con Fratoianni e Bonelli? E come fanno Noi Moderati e Forza Italia che si definiscono liberaldemocratici a portare avanti le loro idee in coalizione con Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Andrea Delmastro?”
Girare e vedere gente, dunque. Però il dubbio, nel momento in cui compare un altro partito di centro, sorge spontaneo: ce n’era bisogno? “State includendo nell’area troppa roba, roba che non c’entra o non c’entra più: Italia Viva e Più Europa hanno scelto un altro progetto politico, quello del campo largo. Una delle due curve ultrà, lo schieramento di centrosinistra. Legittimamente, eh. Ma è il motivo per cui sono uscito da Italia Viva”. A Marattin la parola centro non piace. “E non mi piace neanche la parola ‘moderati’. Nulla di quello che serve all’Italia può definirsi moderato. Servono riforme radicali, da attuarsi, certo, con moderazione nei toni e nell’atteggiamento. L’area a cui mi riferisco la chiamo area liberaldemocratica e terzopolista”. Anche dopo la fine prematura del Terzo polo? “Far fallire il Terzo polo è stato il più grande atto masochistico della storia politica repubblicana”. Ma come la mette con gli ex compagni di Italia Viva che spesso dicono le stesse cose che dice lei? “Come fanno loro, piuttosto, a dire cose simili a quelle che diciamo noi e a portarle avanti con Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli? Come fanno a stare in uno schieramento che ha raccolto le firme contro il Jobs Act? Uno schieramento giustizialista, ambiguo sulla politica internazionale?”. Anche nel centrodestra c’è chi parla come voi. “Noi Moderati e Forza Italia si definiscono liberaldemocratici ma hanno fatto la scelta di campo nella coalizione di centrodestra. E come fanno ora a portare avanti le loro idee in coalizione con Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Andrea Delmastro, uno che gioisce quando un detenuto non respira?”. Quindi chi rimane, oltre a voi, nell’area terzopolista libdem? “Azione”. Quelli di Azione direbbero: e allora perché non venite con noi? “Noi facciamo e abbiamo fatto anche ad Azione una proposta diversa, con tutto il rispetto per Carlo Calenda e per un partito strutturato, con una bella comunità. Ma il punto è: quanto vale l’area libdem terzopolista? I sondaggisti sono concordi nell’assegnarle un mercato potenziale del 15 per cento. E’ l’area del paese che dice: non fatemi votare per Landini ministro del Lavoro o per Salvini ministro dell’Interno, per un governo Schlein o Meloni, anche se tramite un partito che si dice al centro del centrosinistra o del centrodestra”.
L’11 aprile, intanto, Matteo Renzi, presentando la tessera di Iv 2025 con l’effigie di Alcide De Gasperi, ha detto che “il centro che guarda a sinistra è la chiave di lettura del nostro posizionamento politico in questa stagione della storia”. Per Marattin il posizionamento deve puntare invece alla fuga dalle ali estreme. “Ogni volta che l’area libdem si è presentata al voto, prima con Monti, nel 2013, poi con il Terzo polo, nel 2022, si è attestata attorno all’8-9 per cento, in espansione potenziale verso il 15. Solo che oggi non siamo nella situazione in cui, di questo 15 per cento potenziale, un unico partito prende già l’8-9 per cento. In tal caso fareste bene a chiedermi: perché fai una cosa diversa? Oggi nessuna delle forze presenti in area libdem terzopolista, compresa la nostra, nata l’8 marzo, ce la farebbe da sola. Per questo la nostra proposta è sempre stata, dopo le Europee, quella di creare uno spazio unico”. E come farete, se gli altri non sono d’accordo? “Per un anno, dico io, facciamo iniziative sui temi che contraddistinguono quest’area: concorrenza, produttività, atlantismo, efficienza, spesa pubblica, tasse, nucleare. Facciamole insieme, in modo da essere riconoscibili e da allargare la comunità”. Ma chi sarebbe poi il leader? “Tra un anno, al termine di questo percorso, si potrebbe eleggere il leader o la leader dell’area. E il vincitore sarebbe anche il mio leader, beninteso. Perché di una cosa sono certo: se gli italiani, nel 2027, si trovano di nuovo sulla scheda elettorale due o più partiti in area libdem terzopolista – due o più partiti che dicono le stesse cose e fanno la stessa analisi del passato, presente e futuro dell’Italia, ma non si mettono insieme – sai che cosa fanno? Mandano al diavolo tutti e due o tutti e tre o tutti e quattro”. E a quelli al centro del centrodestra o del centrosinistra, che cosa dice? E che cosa le rispondono? “Come fate a stare lì, chiedo? Risposta: il quadro è bipolare. Mah. Ricordo che noi non abbiamo la storia della Gran Bretagna, e parlo da pentito della sbornia bipolarista. Negli anni Novanta ci avevo creduto anch’io. Ma la Gran Bretagna vede in campo le culture politiche di Labour e Tories da duecento anni, e ha una legge elettorale da lunghissimo tempo pienamente maggioritaria. Qui non si è mai voluto farla davvero, una legge elettorale maggioritaria. E allora non capisco perché ci siamo fissati con il bipolarismo. Un bipolarismo che si è poi strutturato attorno al sì o no a Berlusconi”.
Marattin cita lo schema da manuale di Scienze politiche: “Il bipolarismo compete sull’elettore mediano. Vince al centro. Bill Clinton vinse al centro, Tony Blair vinse al centro. Noi negli anni Novanta e primi Duemila avevamo un bipolarismo costruito su due leader centristi in Forza Italia e Margherita. Caratteristiche oggi assenti. Il bipolarismo italiano non compete più per l’elettore mediano, ma per l’elettore estremo. Che cosa fa Matteo Salvini tutti i giorni, se non evitare di farsi scavalcare a destra da Roberto Vannacci? Ed entrambi che cosa fanno, se non evitare di farsi scavalcare a destra da Meloni? E che cosa fa tutti i giorni Elly Schlein, se non evitare di farsi scavalcare a sinistra sul pacifismo da Giuseppe Conte?”. Anche a sinistra la corsa agli estremi è iniziata negli anni di Berlusconi: i popoli viola, i post-it gialli, Antonio Di Pietro, tutti prodromi dello tsunami di Beppe Grillo. “Il M5s ha portato allo sconvolgimento finale, alla rottura del bipolarismo. E quando mi dicono che con questa legge elettorale non c’è spazio per terzi poli, rispondo: ma come, nel 2018 un terzo polo, il M5s, ha preso il 33 per cento! Ed eccoci con un bipolarismo in corsa verso le ali estreme – che lascia scoperto un pezzo di paese”. Ma c’è davvero domanda per altro? “Sì, il problema è l’offerta. Ora l’offerta gravita, frammentata, attorno alle scorie del Terzo polo”. In molti lo rimpiangono. “Ripeto: insensato atto di masochismo farlo naufragare. Ma la soluzione non è l’annessione nostra da parte di qualcuno, ridicola perché siamo appena nati. E’ la creazione di una comunità politica, unita non da un nome ma da un progetto. Chi parla sul serio di concorrenza oggi? Chi sul serio di nucleare? Chi davvero di riforme istituzionali? Chi di taglio della spesa pubblica e di soldi in tasca agli italiani?”. Ma Calenda che dice? “Sono andato a dirglielo al congresso: spero ci siano le condizioni per questo percorso, nel rispetto reciproco. Nella sua replica finale mi è sembrato di percepire un: qui ci sono io, semmai venite voi. Ma Carlo è uomo intelligente, come i dirigenti di Azione e la base di Azione. Sono abbastanza fiducioso”.
“Il paese ha capito che moderare le curve ultrà è impossibile. Io dico: datemi un partito che mi consenta di non usare il voto per mandare Landini al Lavoro o Salvini al Viminale. Un partito che parli di concorrenza, che fermi questo treno della spesa pubblica. Non possiamo rimanere senza il bene pubblico sicurezza”
Torniamo al via: ma siete sicuri che questo terzo polo libdem abbia mercato? “Il paese ha capito che moderare le curve ultrà è impossibile. Ecco perché le iniziative con i cattolici di centrosinistra del mio amico Ernesto Maria Ruffini mancano la domanda. Il moderato di centrosinistra oggi vota già Pd”. Magari scontento. “Si tura il naso e vota Pd. Guardate i risultati dei candidati riformisti alle Europee: sono stati i più votati. E se il moderato di centrosinistra non vota già Pd, non lo voterà comunque, perché sa che con il suo voto manderà Landini a fare il ministro del Lavoro o Conte a fare il ministro degli Esteri. Un moderato di centrodestra, invece, vota già o FI o Noi Moderati. E se non li vota già non li voterà comunque, perché ha paura che con il suo voto manderà Salvini al Viminale”. Astensionismo consapevole? “Io dico: datemi un partito che mi consenta di non usare il voto per mandare Landini al Lavoro o Salvini al Viminale. Un partito che parli di concorrenza, che fermi questo treno della spesa pubblica. Il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti l’altro giorno ha detto che, di dodici miliardi di euro di fondi Pnrr, non sappiamo chi sia il soggetto attuatore: dodici miliardi di tasse italiane, e non si sa a chi siano stati dati. Senza contare che, dal 2000 a oggi, il rapporto spesa pubblica-pil è salito 4,3 volte più della media europea”. Altra nota dolente, l’automotive. “Fare una macchina in Italia costa tre volte più che farla in Spagna. Se non si parte da lì, inutile urlare alla luna contro Stellantis. E poi: concetti come concorrenza e mercato non devono restare patrimonio di un’élite. La nostra scommessa, in un paese bloccato, è che diventino anche patrimonio degli esclusi a cui hanno sempre detto: tranquilli, ci pensa lo stato. Invece di: il mercato è la tua salvezza. Anche se non hai raccomandazioni, se vali te la puoi giocare. Questo concetto va portato nelle strade e nelle piazze. Con risultati domattina? No, ma questa è la via”.
Ma secondo lei, perché questo paese a un certo punto si è buttato nelle mani dei populismi? “Motivo numero uno: il degrado del dibattito pubblico, con l’informazione corresponsabile. Motivo numero due: l’Italia è il paese che negli ultimi trent’anni è cresciuto meno al mondo. Gli stipendi sono fermi. Un paese in queste condizioni è incazzato, quindi più propenso a credere ai messaggi semplici. L’incazzato non ascolta Marattin che parla di produttività con il grafico, ascolta Conte che dice: ti faccio la casa gratis. O Salvini che dice: ti tolgo le tasse. Intanto a sinistra ti spiegano che stiamo così perché lo stato non spende più, cosa non vera: non spende e si perde 12 miliardi di fondi Pnrr? E a destra discettano: il motivo è la globalizzazione. Falso pure questo”. In Italia ha attecchito anche un certo putinismo sotterraneo. “In questo paese storicamente c’è un anti-americanismo strisciante. E poi, più prosaicamente, in Italia c’è una rete di influenza russa forte. Potrei citare il caso di Walter Biot”. A quelli che definisce “i fissati del bipolarismo”, Marattin vuole mandare questo messaggio: “Secondo voi, possiamo permetterci di andare a votare la prossima volta scegliendo solo tra due coalizioni che hanno come secondo azionista di maggioranza due partiti che non fanno propriamente riferimento alle liberaldemocrazie occidentali, tanto più se stiamo andando verso un confronto, spero non armato, tra liberaldemocrazie e autocrazie? Usciamo da questa convinzione granitica: il sole sorge a est, due più due fa quattro e in Italia c’è il bipolarismo”.
Intanto però si percepisce molta resistenza rispetto all’idea del riarmo europeo. “E’ una pulsione populista: cosa c’è di più attraente che dire al popolo ‘invece di spendere in armi spendiamo in sanità?’. Ma i populisti giocano un’altra partita. Chiediamoci: chi ha interesse a disarmare l’Europa? La difesa è un bene pubblico, concetto abusato. E in Italia, per ottant’anni, non è che non abbiamo pagato il bene pubblico difesa e il bene pubblico sicurezza: hanno pagati altri. Gli Stati Uniti ci hanno offerto il bene pubblico sicurezza in virtù degli eventi della Seconda guerra mondiale e della Guerra fredda. Volenti o nolenti, questo non avverrà più, ma non possiamo rimanere senza il bene pubblico sicurezza. Senza quello non hai welfare, non hai scuola, non hai sanità, tanto più se, alle porte dell’Europa, c’è uno abituato a entrare con i carri armati nel territorio di uno stato sovrano”. E come ce lo offriamo, questo bene pubblico sicurezza? “Con un piano per riarmare gli stati nazionali in un’ottica di cooperazione e integrazione delle filiere della difesa”.
Ci dica qual è la road map libdem dei prossimi mesi. “Il partito Libdem è nato facendo il contrario di quello che si fa di solito. Non con un ‘eccomi qui, sono il vostro condottiero, chi mi ama mi segua’. Non crediamo in questo modello. E io cerco un partito da votare alle prossime politiche, non un partito da comandare. Abbiamo detto: facciamo prima vedere che cosa siamo: manifesto, proposte, organizzazione, classe dirigente. Sabato scorso c’è stata la giornata nazionale del tesseramento, con banchetti e gazebo: siamo presenti in tutta Italia con circa 2.000 tesserati. E il 28 e 29 giugno a San Lazzaro, in provincia di Bologna, faremo il nostro primo congresso. Spero ci siano altri candidati oltre a me, verso lo stesso obiettivo: un’unica formazione libdem e terzopolista. Perché se l’elettore nel 2027 ne troverà due, come dicevo, non sceglierà nessuna delle due”. Sta parlando ancora a Calenda? “Dico che non sarebbe un rigore a porta vuota, sarebbe un calcio di punizione senza barriera e con un portiere grasso”.
