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Fuori dal carroccio

Leghisti veneti con Meloni: la fuga in assenza del campione Zaia

Francesco Gottardi

Dopo la decisione della Consulta sul terzo mandato, due consiglieri regionali della Lega salviniana sono passati a Fratelli d’Italia, e presto potrebbero seguirne altri. La maggioranza verde si logora, mentre il presidente del Veneto resta in silenzio

Più che una sentenza è una mattanza. Tramontato Zaia, tramontano gli zaiani. E si sfalda la Lega in Veneto: tra domenica e lunedì, due consiglieri regionali in area Carroccio sono passati a Fratelli d’Italia. Si tratta del veronese Marco Andreoli, leghista da più di trent’anni, e della trevigiana Silvia Rizzotto (eletta nella lista del governatore). Entrambi sono due pezzi importanti nello scacchiere locale, presidenti della Seconda e della Terza commissione permanente in Consiglio. Potrebbero non essere gli unici: dietro le quinte si prospettano almeno altri due colleghi in partenza verso i meloniani. Che ringraziano e vanno avanti. Sognando perfino lo scranno di Zaia, fino all’altro ieri un tabù.

E però la decisione della Consulta sul terzo mandato si è rivelata un terremoto con epicentro in Campania ma propagatosi veemente fino al Veneto. Perché non mette soltanto la parole fine sulle ambizioni del Doge. Ma crea soprattutto un grosso problema amministrativo: degli oltre 30 consiglieri del ticket Zaia-Carroccio, alle prossime elezioni ne sopravviverebbe meno di un terzo. Visto che – salvo sorprese – non ci sarà la civica del presidente a supporto del partito. I sondaggi in questo senso sono impietosi: la Lega insieme alla lista Zaia – con un candidato di bandiera – supererebbe ancora il 30 per cento, continuando a dominare la maggioranza. Da sola però farebbe fatica a raggiungere il 10. La prima a saperlo è Giorgia Meloni, che se dovesse concedere la candidatura agli alleati di sicuro porrebbe il veto sul rinforzo zaiano negli schemi elettorali.

 

                   

 

L’ultima settimana ha fatto invecchiare la Liga veneta di diversi anni. Dapprima il congresso federale, che ha decretato la linea sfascio-sovranista propugnata da Salvini e Vannacci – mal tollerata a queste latitudini, ma infine digerita dai big con discreto voltafaccia. E poi, appunto, la scure sul futuro di Zaia. I due consiglieri in rotta, Andreoli e Rizzotto, motivano il cambio di casacca “dopo una riflessione sui principi e sui programmi”. Mah. “La loro uscita non è casuale”, risponde Alberto Villanova, capogruppo di Zaia in regione. “Il tempismo fa pensare anche i non maliziosi: pochi giorni dopo la sentenza, arriva questa doppia comunicazione. Il coraggio non si compra, a quanto pare”. E così la corposa maggioranza verde si ritrova progressivamente logorata, rosicchiata. Il primo a tracciare la rotta, passando a Forza Italia, era stato Fabrizio Boron quasi due anni fa: ora va di moda la Fiamma. Un fuggi fuggi in ogni caso unidirezionale, dalla Liga verso altri lidi.

E a proposito di numeri, i vecchi venetisti pugnaci – quei militanti contrari alla deriva destrorsa di Salvini e dintorni – si contano ormai sulla punta delle dita. Il consigliere-filosofo Favero. L’assessore Roberto Marcato, che continua a predicare nel deserto: non ha ancora sciolto le riserve, ma se perfino il Veneto dovesse diventare un’emanazione politica del congresso di Firenze, come sembra, a quel punto non resterebbe che il grande strappo. Per la regione salgono intanto le quotazioni del segretario Alberto Stefani – fortemente caldeggiato da Salvini –, mentre l’ipotesi civica del sindaco di Treviso Mario Conte si sta via via defilando. In ogni caso, la Lega non potrebbe contare su alcun nome in grado di spostare voti. I meloniani sentono il momento, fiutano che senza Zaia l’egemonia veneta del Carroccio andrebbe presto in fumo. E quindi rilanciano, rivendicando il governo della regione che più di ogni altra, a livello nazionale, ha incoronato il partito di Giorgia. Magari non strapperanno il candidato ai leghisti, ma stanno accumulando potere contrattuale. Se non comanderanno la giunta, almeno il Consiglio.

E Zaia? Per ora sul futuro resta in silenzio, a lutto verso sé stesso e la fine di un’era. Ma in Veneto lo sanno tutti: l’ultima cosa che invoglia il presidente è combattere una battaglia persa. Quella che attende la Lega ha i contorni chiari: si invoca la linea del Piave, ma si teme una Caporetto.