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L'ipad della segretaria

Assemblea, 4-1 alle regionali e poi congresso per il bis: la strategia di Elly Schlein

Simone Canettieri

Convocare gli iscritti per confermare la linea sul ReArm Eu e sulla battaglia referendaria sul Jobs Act, centrare l'obiettivo dei prossimi appuntamenti elettorali, per poi puntare al milione di persone ai gazebo. Gli appunti della leader dem

Alle agende di Giorgia Meloni, Elly Schlein preferisce l’iPad. Ma il risultato cambia poco: la segretaria del Pd ha segnato tre snodi per arrivare alle politiche con il vento in poppa. E’ la sua scommessa, non è detto che tutti i pianeti alla fine si allineino. La lunga marcia di Elly Zedong? Una specie. Il primo passo: convocare un’assemblea degli iscritti a maggio per conferme la linea sul ReArm Eu (che ha mandato in tilt il gruppo dem a Strasburgo) e lanciare la battaglia referendaria sul Jobs Act. Quindi guerra e lavoro nel nome del “chiarimento”. Seconda tappa, quella più importante:  portare casa il 5-1 (o 4-1) alle prossime regionali e poi, se centrerà questo obiettivo, convocare il congresso del Pd con due sotto obiettivi: un milione di persone ai gazebo e vittoria netta, questa volta, anche tra gli iscritti. L’ipotesi di un’antagonista come Pina Picierno non è vista come un pensiero al Nazareno, anzi. 

 

        

Schlein, che come si sa si fida di pochissime persone anche all’interno del suo partito, ha capito che si gioca tutto alle regionali. Come da tradizione, d’altronde, dei segretari del Pd. Passi per la Valle d’Aosta (che si muove su uno spartito lontano dalle logiche romane) le battaglie da vincere al Nazareno sono due: la Campania e soprattutto le Marche. Il Veneto, al di là dei proclami e delle interviste, è dato per perso. Il dopo De Luca è una pratica complessa, da costruire piezz piezz, tuttavia Schlein e Igor Taruffi sono convinti di chiuderla con dentro il governatore uscente, indispensabile per vincere, e soprattutto il M5s di Giuseppe Conte che rivendica lo ius primae noctis sul candidato governatore, che sia Fico, inviso a De Luca per il momento, o Sergio Costa, considerato più potabile. A specchio il centrodestra, sponda Matteo Salvini vagheggia la pazza e impossibile idea del ministro Matteo Piantedosi, pronto a puntare alla fine su Edmondo Cirielli, viceministro meloniano da settimane pronto a correre con le dovute garanzie. Per entrambi gli schieramenti c’è tempo, Schlein è convinta che alla fine nonostante le mosse della destra riuscirà a confermare la Campania. “La prima riunione è stata positiva: per noi c’è tempo”.

La vera sfida, strano ma vero, è un’altra: le Marche. “Il nostro Ohio”, dice con simpatia Claudio Mancini, deputato del Pd romano che quando non pensa al Campidoglio ha in mente la campagna del suo sodale di corrente Matteo Ricci, europarlamentare dem, ex sindaco di Pesaro, in campo per diventare presidente di regione. Nelle Marche si voterà, con ogni probabilità, a settembre. E in Via della Scrofa, dove ha sede Fratelli d’Italia, sono “preoccupati”. Il partito di Giorgia Meloni teme che Francesco Acquaroli, presidente uscente, non riesca a succedere a se stesso. Per questo motivo hanno iniziato a fargli fare una “cura di televisione” perché queste elezioni diventeranno con ogni probabilità un fatto politico nazionale e non solo locale. Schlein è pronta a sfruttare la libertà di essere all’opposizione per battere in lungo e largo le Marche forte di una coalizione che qui, al contrario della Campania, dovrebbe tenere dentro davvero tutti: da Avs ad Azione. Non destano problemi la Puglia con il ritorno di Antonio De Caro (qui FdI è arrivato agli stracci con tanto di lettera ad Arianna Meloni per sedare le faide interne) e nemmeno la Toscana dove Eugenio Giani o, colpo di scena, Dario Nardella non temono l’offensiva del centrodestra. Si torna così all’iPad di Schlein e dei suoi fedelissimi, guardinghi ma laboriosi nel cercare di raggiungere un risultato che alla fine potrebbe essere 4-1 o 5-1 (se si calcola la Valle d’Aosta). Scenari di gloria – che dovranno essere vidimati dalle urne, certo – pronti a proiettare la segretaria verso l’ultimo passaggio. Quello del congresso e cioè della ricandidatura.

In queste ore le iniziative sulle Rai e sulla mozione su Gaza con M5s e Avs hanno rimesso al centro un’idea di coalizione. E quel “testardamente unitari” che a volte diventa realtà. Insomma se le regionali sorrideranno alla segreteria, il congresso tecnicamente previsto nel 2027 diventerà l’ultimo tassello di una strategia doppia. Da una parte Schlein si rilancerà al proprio interno per potere fare le liste con una mano relativamente libera, dall’altra manderà un messaggio “all’amico” Giuseppe Conte che non riesce a digerire l’idea di non rivedersi a Palazzo Chigi. Le primarie d’altronde serviranno a questo: bagno di popolo e corsa contro Giorgia Meloni, l’ unica fissazione della segretaria. Convinta, se non cambierà la legge elettorale, di non perdere, ma almeno di pareggiare. E quella, spera, sarà un’altra storia. I suoi appunti dicono questo, la realtà chissà.
                              

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.