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Il viaggio alla Casa Bianca

Fai buon deal, Giorgia! Parla Zampolli, inviato speciale di Trump

Michele Masneri

Mentre la premier attende l’incontro di oggi col presidente americano, l’imprenditore milanese incaricato da Washington per “le global partnership” è tranquillo: tra America e Italia c'è una "relazione speciale" e “i dazi si negoziano”. Mentre “con Biden per tre anni non avete avuto un ambasciatore a Roma. Questo sì che era assurdo”

Mentre Giorgia Meloni è arrivata a Washington e attende l’incontro bilaterale di oggi col presidente Trump, per trattare su varie spinose questioni tra cui i dazi, Paolo Zampolli, l’imprenditore milanese e amico-socio di lunga data di Trump recentemente nominato inviato speciale del presidente americano per “le global partnership” è tranquillo. Pensa che la fiducia in Giorgia Meloni sia diminuita per le sue posizioni pro Zelensky ed europeiste, gli chiediamo al telefono da Washington. “No, Trump continua a pensare che Giorgia sia a great leader. La fiducia è al massimo. E sono convinto che da questo summit usciranno sorprese positive. Del resto cosa si può avere di più che l’amicizia del presidente degli Stati Uniti? C’è questa relazione speciale… l’America l’abbiamo scoperta noi italiani”.  

 

Zampolli insomma è entusiasta. E sulla questione Ucraina? “Basta con la guerra”, dice. Sì, però Trump sosteneva che l’avrebbe risolta in 24 ore, diciamo che sono scadute da un po’. “Quando l’ha detto? Non ricordo”. Nel 2023. “Ma sono passati due anni, le cose cambiano”. E se la Casa Bianca chiederà di alzare al 5 per cento le spese militari come facciamo? L’Italia non può farcela. “Ma sono richieste globali, che il presidente Trump ha fatto a tutti”. Insomma  negoziare, negoziare, negoziare. A proposito, lei che lo conosce così bene, c’è qualcosa assolutamente da fare o meglio ancora da non fare mentre si negozia con Trump? “Ma no, basta la lealtà. Loyalty is king, come si è visto anche recentemente con Netanyahu, con cui è andato tutto benissimo”. Veramente l’israeliano era un po’ abbattuto. Ha mai letto The art of the Deal, il leggendario manuale delle trattative scritto da Trump anni fa? “Io no, mi basta essergli amico da trent’anni. Dovete leggerlo voi, forse. In particolare, dovrebbero leggerlo tutti i ministri”.  Porterà in giro Meloni per Washington? “Non è il mio ruolo. Io sono inviato speciale per le global partnership, seguo 193 paesi, e sono qui per aiutare e prendere ordini dal mio Presidente, e se serve, dare una mano. Global partnership for global peace.  E poi Giorgia Meloni e Donald Trump hanno un rapporto personale che non dipende da me".

 

Piuttosto, a proposito di Roma, bisognerebbe cominciare a pensare cosa fare delle ben tre agenzie delle Nazioni Unite che si occupano di cibo, la Fao, il World Food Programme e l’Ifad. Fanno la stessa cosa e impiegano migliaia di persone tra sovrapposizioni, scorte, edifici, sicurezza. Noi Stati Uniti ci spendiamo 5 miliardi l’anno. Voi quanto spendete?”. Oddio, pure con la Fao adesso ve la prendete! Ma lei conferma che non sarà il sorvegliante speciale degli affari italiani? “Assolutamente no, avete la fortuna di avere Tilman Fertitta come ambasciatore designato: un italoamericano, un grande uomo di business, cosa volete di più”.

 

Però non arriva questo Fertitta, magnate degli alberghi. “Con Biden per tre anni non avete avuto un ambasciatore a Roma. Questo sì che era assurdo. Adesso Trump invece sta spingendo per farlo arrivare prima possibile, to fast track him. Serve la conferma del Senato americano, c’è una procedura, ma l’Amministrazione sta stringendo i tempi perché l’Italia è troppo importante. Ripeto, era assurdo che praticamente per tutto il mandato di Biden non ci fosse un ambasciatore a Roma, ma solo un chargé d’affaires”. E questo pure è vero.  Senta Zampolli, lei viene da una famiglia di imprenditori, suo padre aveva un’azienda di giocattoli, cosa avrebbe detto  dei dazi? “Ma i dazi si negoziano. E poi Trump ha stoppato quelli su computer e telefoni. E poi mi spiega perché in America c’è un’invasione di auto tedesche e in Europa non è lo stesso per le auto americane?”. Be’ forse perché le auto tedesche sono un po’ meglio. “In effetti anche io ho una Mercedes”. Ecco. “Comunque tutto sta a negoziare”. Insomma, vedremo come andrà la trasferta di Meloni. E se anche lei si rivelerà maestra del "deal"
 
 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).