
Il caso
Meloni e il brivido della domanda su Zelensky. E davanti a Trump ribadisce: "La Russia ha invaso l'Ucraina"
La visita della premier alla Casa bianca. Tensione sulla guerra. La promessa del presidente americano di una visita a Roma
L’unico momento complicato è stato sull’Ucraina. Giorgia Meloni risponde in italiano, Donald Trump non capisce, e chiede la traduzione. Attimi di panico. Persino la traduttrice di Meloni si impappina capendo il rischio di incidente. Allora la premier prende l’iniziativa e traduce se stessa. Ciò che si vede è una vicinanza. Trump e Meloni sembrano intendersi. Non solo per l’accoglienza che il presidente americano riserva alla premier, appena scesa dall’auto della delegazione italiana (“è una persona eccezionale”). Stima ribadita anche con un’altra affermazione: “E’ una delle vere leader del mondo”. Nel fiume di parole pronunciate in mondovisione ci sono sicuramente alcune frasi da segnalare. Riguardano i dazi, il ruolo dell’Europa e le spese militari per la Nato. E’ più di un semplice bilaterale Italia-America (che include anche un invito ufficiale della premier a The Donald a Roma). Meloni: “Sono qui per lavorare e make west great again”.
Meloni si siede davanti a Trump. Il tycoon ha alla sua destra il vice J.D. Vance (che oggi sarà in Italia) e Scott Bessent, segretario al Tesoro che fra meno di dieci giorni riceverà l’omologo Giancarlo Giorgetti. Terminati i convenevoli la presidente del Consiglio esordisce parlando di dazi. “Delle necessità reciproche di trovare un terreno d’intesa a metà strada. Entrambi possiamo uscirne più forti”, afferma. E qui si capisce l’ambizione della premier di fare da ponte fra Washington e Bruxelles visto che cita la possibilità di incontro fra il presidente e l’Unione europea. “Qualcuno mi ha definito una nazionalista occidentale. Non so se sia la parola giusta. Sono qui per trovare il modo migliore per renderci entrambi più forti sulle due sponde dell’Atlantico”.
Trump non sembra ostile ma tracotante sì perché le risponde che “noi avremo molti pochi problemi a fare un accordo con l’Europa o qualsiasi altro, perché abbiamo qualcosa che tutti vogliono”, replica il presidente americano. Sicuro che l’intesa ci sarà “al 100 per cento”. Ma, sottolinea, senza “nessuna fretta però”. Prima di chiudersi per un breve bilaterale di un’ora, i due, con toni diversi, concordano sull’aumento da parte di Roma delle spese militari. La leader annuncia il raggiungimento del 2 per cento al prossimo vertice Nato. Più significativo il secondo punto stampa, alle spalle del famoso caminetto presidenziale. E qui Meloni dopo una riflessione sul valore dell’occidente da far tornare grande, la lotta condivisa alle ideologie, la visita accettata a Roma da parte del presidente così come un dialogo con la Ue, piazza una frase inequivocabile: “Insieme possiamo fare meglio, possiamo difendere la libertà dell’Ucraina e costruire una pace giusta e duratura”. E’ forse il momento politicamente più interessante: il precedente di Zelensky nella stessa stanza è ancora vivissimo. Si percepiscono momenti di tensione quando i giornalisti italiani chiedono conto a Meloni della posizione delle responsabilità di Zelensky sulla guerra e sulla marcia dell’Italia per arrivare al 2 per cento, in quest’ultimo caso la premier diventa la traduttrice di se stessa per evitare un catastrofico incidente diplomatico (“siamo una nazione seria, rispetteremo gli impegni”, dice senza entrare nei dettagli). Mentre sulla guerra ripete che “è chiaro che la Russia è l’invasore”. E qui si nota la distanza di visione con il padrone di casa: “No se se Zelensky sia il responsabile, ma non sono un suo grande fan”. Altro siparietto indimenticabile, la domanda sulla frase degli europei parassiti: “Mai detto!”. Meloni torna a casa, non ha ottenuto quasi nulla nella trattativa se non il successo personale di aver domato il presidente imprevedibile e la promessa americana di valutare una visita a Roma per incontrare la presidente della Commissione europea von der Leyen.