
(Ansa)
L'editoriale del direttore
Prevedibilità e normalità. Meloni non paga dazio da Trump
Molto europeismo e poco trumpismo. Perché la prevedibilità della premier alla Casa Bianca è una buonissima notizia
Make the West great again. L’incontro tutto sommato affettuoso alla Casa Bianca tra Giorgia Meloni e Donald Trump non ha prodotto risultati rilevanti, eccezion fatta per la volontà mostrata dal presidente americano di fare un passetto in più verso l’Europa, di voler studiare un incontro con i vertici dell’Unione europea, gli amici parassiti, espressione che Trump ha usato ma che di fronte a Meloni ha negato di aver mai usato, e di ragionare sulla logica del compromesso sui dazi, sempre che questi possano considerarsi passi in avanti nel rapporto tra Stati Uniti ed Europa, ma ha offerto agli osservatori alcuni spunti di riflessione preziosi rispetto a quella che è una nuova e interessante caratteristica della fase caotica, disordinata e folle in cui vive la politica contemporanea, quotidianamente minacciata da un presidente americano che per sua stessa ammissione desidera fortissimamente aprire come una scatoletta di tonno il vecchio ordine mondiale liberale. L’incontro di Giorgia Meloni con Donald Trump – il cui elemento più rilevante è stato il modo in cui Meloni è riuscita ad addomesticare Trump, come un incantatrice di vipere – è stato preceduto da un turbinio impazzito di ipotesi di ogni tipo rispetto a quello che avrebbe potuto dire, fare, pensare, combinare il presidente americano.
Alla fine, nell’incontro con l’amica Giorgia, very eccezionale, very amica, very special person, non è successo nulla di spaventoso o di clamoroso o di sorprendente. Ma il fatto che l’incontro di ieri, tutto sommato normale, sia nella grammatica trumpiana un’anomalia, un fatto raro, e il fatto che la normalità sia sempre più una eccezione che conferma la regola della non normalità trumpiana, del disordine permanente, è un elemento che ci aiuta a inquadrare un aspetto importante che riguarda un punto di forza non scontato della leadership meloniana e più in generale di molte leadership europee: la prevedibilità. Trump, ormai lo sappiamo, e dovremmo saperlo e ricordarlo anche quando le sue imposture fanno breccia tra i libbberali alle vongole, è specchio di quello che il mondo libero non deve essere, e osservare la postura di Trump, specie in economia, e spesso anche in politica estera, è utile per ricordare che un leader che ha a cuore la libertà, e che si confronta con Trump, deve fare l’opposto del presidente americano, per non cadere nelle trappole del pensiero illiberale. In questo senso, la prevedibilità, per Meloni, il suo non essere sorprendente, e per questo rassicurante, rappresenta una postura che si trova all’estremità opposta di tutto ciò che significa essere un perfetto trumpiano europeo. Ieri, dunque, Meloni è stata magnificamente prevedibile perché non è stata sovranista, non è stata nazionalista, non è stata populista, non è stata demagogica, non è stata anti europeista e anzi, nel suo essere prevedibile, non ha rinnegato la sua forma più preziosa di coerenza: essere cioè costantemente incoerente con la Meloni coerentemente populista del passato.
E dunque, sì, Meloni era in visita da Trump come leader del nostro paese, come argine contro i nemici dell’interesse italiano, ma era lì anche come leader europeo, e non euroscettico. Ed era lì mossa dalla consapevolezza per fortuna prevedibile che per proteggere gli interessi italiani sia necessario non assecondare gli istinti trumpiani che vogliono rendere l’Europa più fragile, più divisa, più debole, meno integrata, più vulnerabile di fronte alle minacce esterne, compresa quella trumpiana. Ursula von der Leyen, in una formidabile intervista rilasciata tre giorni fa alla Zeit ha sintetizzato con efficacia questo tema con un ragionamento efficace: “L’Europa è nota per la sua prevedibilità e affidabilità, che stanno iniziando di nuovo a essere considerate un valore aggiunto. Da un lato, questo è molto gratificante; dall’altro, c’è ovviamente anche un’enorme responsabilità a cui dobbiamo far fronte”. Nell’èra dell’instabilità, del disordine, del caos, delle fratture mondiali, essere prevedibili è un argine minimo contro l’estremismo, è un’aspirina, è solo uno dei tasselli di un mosaico complesso che è quello che riguarda gli sforzi che stanno compiendo molti leader europei in questi mesi: provare a governare la stagione dell’incertezza, che pesa sul futuro delle imprese dei paesi europei, e dei loro investimenti, almeno quanto i dazi.
Essere prevedibili è necessario, anche se non è sufficiente, ed era prevedibile in fondo ieri anche tutto quello che è ruotato attorno all’incontro tra Meloni e Trump, le parole d’affetto del presidente americano al capo del governo italiano, la sintonia mostrata sull’immigrazione per trovare un punto di intesa comune sui grandi valori non negoziabili delle destre moderne, l’aumento delle spese militari annunciato dall’Italia. Ovviamente ciò che è necessario non è mai da solo sufficiente a risolvere un problema, e Meloni nei prossimi mesi dovrà trovare soluzioni creative per provare a dare un sostegno a chi rischia di pagare di più l’imprevedibilità trumpiana. Ma il fatto che Meloni, anche ieri, non abbia commesso sbavature, con Trump, mettendo in campo il suo inevitabile europeismo, e la normalità del suo essere amica di Trump senza essere trumpiana, del suo essere amica dell’America senza essere euroscettica, del suo essere in sintonia con il presidente americano senza voler trasformare la sintonia in una martellata al ventre dell’economia italiana, è una buona notizia. Prevedibile, dunque rassicurante. Così come è rassicurante è il tentativo da parte di Meloni di essere dalla parte dell’America di Trump senza essere trumpiana e senza essere anti europeista, con quel suo formidabile “Make the West great again”, sussurrato ieri alla Casa Bianca. Prevedibile, dunque rassicurante. Di questi tempi, poco non è.