
l'editoriale del direttore
Cosa può fare l'Italia per se stessa? Gli autodazi di cui Meloni non parla
L’America può fare molto per l’Italia, l’Europa anche, ma per la premier è arrivato il momento di occuparsi di quello che l’Italia può fare per se stessa. Concorrenza e attrattività. I tabù da affrontare per una nuova fase
Ora che i compiti fuori casa sono stati fatti, ora che la missione di Meloni in terra trumpiana si è risolta con un buon risultato, con una reputazione salda, con qualche obiettivo raggiunto, con qualche colloquio avviato. Ora che quello che Meloni doveva fare fuori dall’Italia è stato fatto, compreso l’obiettivo di organizzare a Roma quanto prima un incontro tra il presidente degli Stati Uniti d’America e il presidente della Commissione europea (così ieri dal comunicato ufficiale successivo al bilaterale tra Italia e America: “President Trump accepted Prime Minister Meloni’s invitation to pay an official visit to Italy in the very near future. There is also consideration to hold, on such occasion, a meeting between U.S. and Europe”). Ora che tutto questo è stato fatto, si diceva, non resta che concentrarsi su ciò che conta di più in questo pazzo momento storico.
Un momento in cui i dazi sono imperanti, le minacce esterne sono enormi, i pericoli sono imponenti, ma un momento in cui la politica in modo insieme surreale e autolesionistico da troppo tempo sceglie di concentrarsi solo su ciò che gli altri possono fare per noi e sceglie invece di concentrarsi poco su quello che l’Italia potrebbe fare per se stessa. Ragionare su quello che l’Italia potrebbe fare per se stessa, oggi, non è solo un esercizio retorico sterile, antiquato, retrò. È qualcosa di estremamente concreto, solido e realistico. È qualcosa che riguarda i dazi di cui nessuno parla mai volentieri: quelli che abbiamo scelto di imporci da soli.
Il tema degli autodazi, negli ultimi tempi, è tornato a essere di estrema attualità in due momenti differenti della nostra vita politica. Il primo momento ha conciso con la famosa relazione sulla competitività di Mario Draghi, quando cioè l’ex presidente del Consiglio ha ricordato in modo efficace quali sono tutte le barriere che l’Europa ha scelto di imporre a sé e quali sono tutti gli ostacoli che non permettono all’Ue di essere efficiente come invece potrebbe essere. Sintesi del problema: i dazi di Trump sono pesanti, gli autodazi dell’Europa lo sono ancora di più. Il secondo momento in cui gli autodazi sono tornati di moda, d’attualità, è avvenuto qualche giorno fa, quando anche gli euroscettici di professione, come Matteo Salvini, hanno chiesto all’Europa di occuparsi dei suoi ostacoli interni, della sua burocrazia ossessiva, solo per evitare di parlare dei dazi dell’amico Trump.
Sintesi del problema: quando si parla di Trump occorre sempre dimostrare che il problema non è ciò che fa Trump ma è ciò che non fa l’Europa. A queste due strade, in teoria, se ne potrebbe aggiungere un’altra, ancora più ambiziosa e ancora più efficace, che riguarda una tripletta, non diremo “triplete” per regioni scaramantiche: combattere i dazi di Trump, combattere gli autodazi europei e combattere anche gli autodazi italiani. Fare i compiti a casa oggi significa questo. Significa riconoscere quali sono le barriere che ci siamo imposti da soli, gli ostacoli che ci siamo costruiti senza che nessuno ce l’abbia chiesto, e significa individuare tutto ciò che l’Italia potrebbe fare per se stessa nell’attesa che ci sia qualcuno in giro per il mondo che possa fare qualcosa per noi.
Parlare di autodazi non è semplice, anzi, è imbarazzante, perché significa andare a ripercorrere una strada dolorosa di conservatorismi autolesionisti che sono stati alimentati per anni dagli stessi protagonisti che oggi dovrebbero provare a rimuovere quegli ostacoli. Ma non parlare di autodazi è una scorciatoia pericolosa, che rischia di far precipitare il paese in una spirale di autolesionismo che non possiamo permetterci. Saper combattere gli autodazi significa saper riconoscere quali sono le grandi catene dell’Italia che andrebbero spezzate con urgenza, per provare a correre nell’attesa che l’America e l’Europa ci permettano di correre ancora di più, e quelle catene sono complicate da definire perché coincidono perfettamente con i tabù del nostro paese. Ha ricordato due giorni fa il presidente dell’Antitrust, Roberto Rustichelli, che affrontare gli autodazi, per un paese come l’Italia, significa combattere per valorizzare il mercato unico.
Significa combattere per ridurre le nostre vulnerabilità strutturali. Significa affrontare con decisione i nodi che frenano, non da oggi, la crescita italiana. Significa fare di tutto per colmare il divario di produttività e innovazione che ha il nostro paese rispetto ad altre economie gemelle. Significa stimolare gli investimenti in tecnologia. Significa migliorare l’efficienza del settore pubblico e del sistema giudiziario. Significa ridurre la complessità normativa dell’ordinamento nazionale. Significa scommettere sulla concorrenza per favorire la crescita del paese.
Autodazio numero uno: l’incapacità di ridurre le barriere regolamentari all’entrata nei mercati dei servizi, che viene associata a una mancata diminuzione dei prezzi pari al 6,5 per cento (dati Ocse).
Autodazio numero due: la mancanza di concorrenza in alcuni settori chiave che frena l’efficienza e l’innovazione, e che ostacola la crescita economica per una cifra pari, secondo l’Ocse, all’1,5 per cento del pil.
Autodazio numero tre: la bassa crescita della produttività in Italia, anch’essa un ostacolo significativo alla crescita economica, che pesa sul nostro pil, ogni anno, per una cifra, ancora secondo l’Ocse, pari a un punto percentuale di pil.
Autodazio numero quattro: l’inefficienza del sistema giudiziario italiano che provoca, tra le tante problematiche, anche un ritardo costante nella realizzazione di opere pubbliche, secondo l’Ue, con conseguenti costi economici significativi che hanno un impatto stimato sul nostro pil anche qui di un punto percentuale.
Autodazio numero cinque: l’incertezza normativa di cui l’Italia è maestra, in Europa, che secondo la Commissione europea riduce il pil dell’Italia dello 0,8 per cento ogni anno.
Autodazio numero sei: la presenza in Italia di un numero straordinario di microimprese, che si traduce spesso in una scarsa capacità di innovazione, in una sottocapitalizzazione, in una bassa internazionalizzazione, che è un ostacolo alla transizione tecnologica, all’aumento di produttività e alla crescita dei salari (uno studio di recente dell’European House-Ambrosetti ha rilevato che se le pmi italiane aumentassero il loro livello di digitalizzazione, la produttività del lavoro potrebbe crescere fino al 9,2 per cento, generando un incremento del pil fino a 24,8 miliardi di euro).
Quello che potrebbe fare l’America con i dazi, eliminandoli, tornando sui suoi passi, provando a essere di nuovo great again non nel senso dell’America garante dell’ordine protezionista ma nel senso dell’America garante dell’ordine liberale, è molto, naturalmente, e per un paese come l’Italia che ha negli Stati Uniti il dieci per cento del suo export, ridimensionare la minaccia commerciale trumpiana è un dovere civile e non solo un obiettivo strategico. Quello che potrebbe fare l’Europa con la promozione del libero mercato, al posto della creazione di dazi per rispondere ai dazi di Trump, e con l’intervento contro i suoi autodazi (i dazi americani sulle importazioni europee, al 25 per cento, ridurrebbero il pil dell’Ue dello 0,3-0,5 per cento; gli autodazi interni, invece, secondo Draghi, pesano fino a 9-10 volte tanto), è molto, ed è giusto scommettere su quella traiettoria. Ma quello che l’Italia potrebbe fare per se stessa, investendo sul suo essere più attrattiva, più competitiva, più aperta al mercato, meno interessata alle politiche pro marchette e più interessata alla politica pro crescita, è moltissimo. E una volta che Meloni avrà completato il suo giro diplomatico sul globo terracqueo per capire cosa l’America può fare per noi e cosa l’Europa può fare per il nostro paese, sarebbe forse il momento di iniziare a ragionare su cosa, una volta per tutte, l’Italia può fare per se stessa. La strada è lì. Basta solo riconoscerla, basta solo volerla vedere, basta solo volerla affrontare. Buona Pasqua a tutti.