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Così Trump aiuta Russia e Cina a vincere la guerra dell'informazione 

Mattia Caniglia

Il R/FIMI, l’unità del dipartimento di stato americano che monitorava la manipolazione informativa straniera, è stato chiuso.  Era uno degli ultimi presìdi dedicati al contrasto delle campagne di influenza estera. Negli ultimi mesi, l’Amministrazione Trump ha archiviato o ridotto drasticamente diverse strutture analoghe

La chiusura del R/FIMI, l’unità del dipartimento di stato americano che monitorava la manipolazione informativa straniera, è solo l’ultimo tassello di un processo di smantellamento più ampio. Nato come costola del Global Engagement Center (Gec), istituito nel 2016 per contrastare la propaganda jihadista e, poi, le operazioni russe nelle elezioni americane, il R/FIMI era uno degli ultimi presìdi statunitensi dedicati al contrasto delle campagne di influenza estera.

Negli ultimi mesi, l’Amministrazione Trump ha archiviato o ridotto drasticamente diverse strutture analoghe. A febbraio, è stata sciolta la task force dell’Fbi che indagava sulle interferenze straniere. Poco dopo, il dipartimento della Homeland security ha sospeso i funzionari della Cybersecurity and infrastructure security Agency (Cisa) dedicati al monitoraggio del cosiddetto Fimi (sta per foreign information manipulation and interference)  e della disinformazione. Siamo di fronte a perdite strutturali: senza un perimetro istituzionale capace di identificare e contrastare le operazioni ostili di influenza estera, gli Stati Uniti potrebbero trovarsi scoperti su un fronte decisivo. 

Fino a pochi anni fa, l’approccio al problema era bipartisan. Il rapporto del Senato del 2019 sulle ingerenze russe nelle elezioni del 2016, redatto sotto la presidenza del senatore Rubio, ne è una testimonianza. Oggi, invece, la cornice è mutata: una parte del discorso pubblico tende a ridurre il contrasto alla  disinformazione e alle  Fimi a un pretesto per la censura. Ma l’equivalenza tra contrasto alla Fimi  e limitazione della libertà di parola è una semplificazione pericolosa. Il concetto di operazioni fimi, sviluppato dal Servizio esterno dell’Unione europea, non si concentra sui contenuti ma sulle modalità operative e sulle dinamiche, coordinate e inautentiche, che caratterizzano queste operazioni. Non riguardano l’opinione, ma l’intenzionalità e l’organizzazione dietro la diffusione di contenuti manipolatori. Sono azioni condotte da attori statali, come Russia, Cina, Iran, con finalità strategiche: indebolire istituzioni, polarizzare società, influenzare processi decisionali interni. Questi paesi (ma ormai anche altri) hanno divisioni apposite dedicate all’aggressione nell’infosfera non solo nei loro servizi segreti ma anche nei lori apparati militari e diplomatici. 

Il gap di risorse rende evidente la sproporzione: il Gec operava con un budget di circa 61 milioni di dollari. La Cina investe dieci miliardi l’anno in propaganda e disinformazione. La Russia, nel solo 2025, ha destinato circa 1,6 miliardi di dollari per le sue attività mediatiche statali e di propaganda. In questo quadro, smantellare gli strumenti di analisi e contrasto non rafforza le libertà civili: le espone, facilitando l’inserimento di regimi autocratici e altri attori ostili. 

Ma questo cambio di politiche avrà importanti ripercussioni non solo sul piano interno. Le Fimi sono oggi una delle principali armi nella cassetta degli attrezzi della guerra ibrida. Non si tratta più di fenomeni collaterali, ma di asset strategici pienamente integrati nelle dottrine militari e geopolitiche contemporanee. E non solo da parte delle grandi potenze: attori regionali e locali sempre più spesso ricorrono a strumenti informativi offensivi per influenzare contesti politici e sociali.  In uno scenario internazionale in rapido mutamento, il campo informativo è diventato un teatro di confronto cruciale. E la decisione americana di disimpegnarsi da questo fronte rischia di avere effetti sistemici: lasciare scoperto un settore chiave della competizione globale significa perdere capacità di deterrenza e influenza, non solo per Washington ma per l’intero occidente. L’onda lunga di questo vuoto si sentirà in aree ad alta competizione geopolitica, dall’Africa ai Balcani fino all’Asia centrale e al sud-est asiatico.

E’ in questo contesto che appare chiara anche la gravità di altre scelte dell’Amministrazione Trump. A febbraio, la chiusura dell’UsAid ha interrotto progetti in aree sensibili, come l’Africa, che rafforzavano stampa indipendente e società civile. Nel vuoto lasciato, avanzano strutture mediatiche e reti di influenza di attori sempre più spregiudicati. Le conseguenze non devono sembrare così lontane da noi: già in Niger, secondo il comando Africom, una campagna informativa russa aveva favorito l’insediamento di un governo ostile a molti attori occidentali e l’espulsione delle Forze americane dalla Air Base 201 di Agadez, fondamentale per gli sforzi di antiterrorismo nella regione. 

Ci sono poi i tagli alle emittenti internazionali finanziate dall’America come Voice of America e Radio Free Europe (per ora sospesi dalla decisione di un giudice federale). “L’America ha fatto quello che noi non siamo mai riusciti a fare”, ha commentato, non a caso, l’editor di Russia Today. E anche il Pentagono ha ritirato il sostegno alla ricerca sociale sui contesti globali. L’iniziativa Minerva, cancellata di recente, forniva strumenti analitici preziosi per leggere dinamiche culturali e politiche. La chiusura dell’iniziativa renderà l’apparato di sicurezza nazionale meno informato. Ciò inciderà direttamente anche sulla capacità futura degli Stati Uniti di comprendere dinamiche fondamentali in scenari strategici, aumentando ulteriormente gli spazi di manovra per altri attori ben decisi a proiettare influenze. Inutile dire come questo arretramento avrà un impatto diretto sulla sicurezza di tutto l’occidente.

E anche per l’Italia. In Africa, dove Roma punta a rilanciare la propria presenza con il Piano Mattei, l’arretramento americano rischia di favorire attori ben più attrezzati sul piano della guerra informativa. Lo stesso vale per i Balcani, dove l’Italia ha storicamente svolto un ruolo stabilizzatore e diplomatico. L’Ue dovrà trovare la forza per evitare che queste mosse di Washington non diventino parte di un più ampio disimpegno dell’occidente dalla guerra dell’informazione a livello internazionale. Senza un’architettura occidentale coesa si perde la guerra dell’informazione, e perdere significa rinunciare a essere attori globali. Alla faccia del Make America (or the West) Great Again. 

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