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Il sondaggio

Effetto Vannacci: nel nordest quasi un leghista su due si ritiene fascista

Francesco Gottardi

Una nuova indagine Demos manda in subbuglio il Carroccio: il 46 per cento dei suoi elettori si considera più vicino al regime che alla Repubblica. “Ma noi siamo e rimarremo un partito antifascista”, ribatte Stefani, vice di Salvini. Rincara la dose Favero, teorico della Liga: “Vannacci con noi non c’entra. E i sondaggi non contano nulla”

Eia eia alaLega. Dissolto il dio Po, azzoppato il Leone di San Marco. E occhiolino al Duce. Possibile? A rivelarlo è un nuovo sondaggio, condotto da Demos – Osservatorio sul nordest e commissionato dal Gazzettino in occasione dell’80esimo anniversario della Festa della Liberazione. Alla domanda “lei si considera più vicino all’orientamento fascista o antifascista?” – rivolta a un migliaio di adulti nel Triveneto – il 13 per cento ha risposto di preferire il regime alla Resistenza. Mica pochi, purtroppo. Ma per gli elettori leghisti, la quota schizza al 46: quasi uno su due. Uno sproposito. E un imbarazzo politico fuori da ogni logica anche considerando gli altri partiti di centrodestra – fra i meloniani la percentuale si ferma “soltanto” al 22. Se su questo era la rincorsa, sorpasso compiuto. 

 

             

 

L’istantanea manda in subbuglio il Carroccio anche perché arriva proprio dal bacino storico della sua militanza, e non – per intenderci – dai nuovi sbocchi di umorale conquista targata Vannacci. A questo punto allora ci sono due possibilità: o Salvini è un genio, un illuminato, in grado di interpretare il ribaltone ideologico dei suoi adepti con istantanea prontezza; oppure i leghisti vecchio stampo hanno già lasciato la Lega – che al contrario sta diventando un catalizzatore di camerati. “Siamo un partito antifascista che nasce per il popolo, e così continuerà ad essere”, ribatte Alberto Stefani, segretario del partito in Veneto nonché leale vice di Salvini, smarcandosi frettolosamente dal verdetto dell’opinione pubblica. Dunque il gran capo avrebbe perso la bussola. Delle due l’una. A meno che non ci sia un terzo scenario: “I sondaggi non hanno alcuna base scientifica”. Ecco. Risolto. “Sono una pessima abitudine e rovinano la politica”, la via di fuga tracciata da Marzio Favero, consigliere regionale e gran teorico della Liga.

Lungi però dal voler cestinare la demoscopia tutta – una branca della statistica, piaccia o no –, chiediamo a Favero di focalizzarsi sui dati. “Sono dentro al partito da trent’anni: penso di conoscere l’animo dei leghisti. E il nostro movimento esistenziale, regionalismo più federalismo,  è eredità della Resistenza. Non c’è nulla di più contrario del fascismo, rispetto al Dna della Lega. Siamo anticentralisti, antistatalisti: quella dittatura invece si fondava per sua natura sull’unità tecnica della nazione, sull’idea centralizzata del potere. Se qualcuno si ritiene fascista e viene da noi ha sbagliato in pieno”. Ditelo a Vannacci. “Lui non è carne della nostra carne, né sangue del nostro sangue”, sibila il consigliere. “Al congresso federale il Veneto si è presentato unito, perché Stefani con intelligenza ha riportato la questione identitaria al centro dell’attenzione”. E Salvini ha risposto consegnando la tessera al generale. “Vediamo se sarà davvero una risorsa. Ma il vicepremier l’ha preso sotto la sua ala soltanto in ottica strumentale: ne sono convinto. In politica la merce più preziosa è il consenso”. Che la Lega sta perdendo e spingendo a destra. “La decima mas è stata una tragedia: prima o poi lo capirà anche Vannacci. Come la Lega dovrà capire che in Europa l’unica strada possibile è quella di una ricostituzione federalista: lontano da certe alleanze antisistema”.

E’ un bel parlare – non certo l’unico: da anni anche altri zaiani, come Roberto Marcato, vanno ripetendo che “il fascismo fa vomitare”. Eppure si ha la sensazione che Favero e colleghi un po’ se la raccontino, rifiutando di accettare l’evidenza. E cioè che il loro antico partito, dal segretario a chi oggi lo vota, quasi non esiste più. Con i moderati federalisti pronti a migrare verso altri lidi. “Non saranno i sondaggi a dirmelo”, insiste il filosofo. “Ci mettono etichette da sempre: pezzi di destra, costole della sinistra, eredi della Dc. Invece la Lega è la Lega. La nostra origine è chiara, il nostro disegno pure. Queste rilevazioni colgono l’attimo, non le tendenze di fondo. E poi la gente soffre l’antifascismo di facciata”. Cioè? “L’appropriazione della sinistra, retorica e arrogante. Dunque certe domande possono innescare un atteggiamento reattivo e provocatorio, altrettanto superficiale: chi risponde così non ha alcun sogno autoritario, soltanto delusione per la mancanza di azioni concrete da parte dei partiti. Non si deve mai costruire la politica sui sondaggi”. Va avvertito Salvini, di volata. Altrimenti, se non ai sondaggi, i vecchi leghisti rischieranno di doversi arrendere alle urne: percentuali da Msi. E non solo quelle.