Schemi e parole

Gli opposti tic del 25 aprile. Parlano Perina, Guerri, Terranova

Marianna Rizzini

Come andare oltre l'uso strumentale dell'antifascismo, da un lato, e oltre gli anni Settanta, da entrambe le parti

Il 25 aprile e il riflesso condizionato che impedisce di uscire dagli schemi di militanza e dalle parole d’ordine stanche, prese di peso dagli anni Settanta. “Oggi onoriamo la democrazia negata dal fascismo”, ha detto ieri la premier Giorgia Meloni, mentre il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha citato papa Francesco: “E’ sempre tempo di Resistenza”. Nelle piazze, però, gli opposti schematismi sono vivi. Come se ne esce? E che cosa imprigiona il 25 aprile? “Si tratta di una ritualità oggi quasi incredibile”, dice Flavia Perina, ex parlamentare finiana, ex direttore del Secolo d’Italia, opinionista sulla Stampa: “Due generazioni fa, questi riflessi condizionati si reggevano sull’esistenza fisica di generazioni che si erano combattute in quella che per molti è stata la guerra civile italiana. Ma ottant’anni dopo mi pare inspiegabile che nessuno abbia trovato modo di andare oltre. Questo riflette a mio avviso una mancanza di riflessione autentica sul senso delle cose e l’incapacità di attualizzarle”. Non è tanto il rimpallo di accuse reciproche, a colpire, dice Perina: “Mi stupisce che non si riesca a guardare alla realtà di oggi e dire: ma se noi davvero consideriamo questa data e i suoi valori come fondanti, dove li andiamo a ritrovare? Ci si trova di fronte a quello che sarebbe un ovvio collegamento: la reazione ucraina all’invasione russa. Ma a sinistra c’è imbarazzo: non puoi esaltare la lotta partigiana e poi dire che qualcuno deve disarmarsi in nome del valore ‘pace’. Con questo ragionamento, i partigiani, ottant’anni fa, avrebbero dovuto aspettare che il fascismo morisse di morte naturale. E la destra avrebbe avuto, oggi, agganciandosi all’Ucraina, un’occasione importante per mettere a nudo le contraddizioni della sinistra. Ma non si riesce ad andare fino in fondo, tanto più che Trump sta proponendo la capitolazione dell’Ucraina in modo estremamente prepotente e arrogante, senza dare valore morale alla lotta di un popolo invaso, anzi. Tutto questo svuota la ricorrenza. Se non sappiamo darle valore oggi, inutile stare a litigare perché è divisiva da ottant’anni”. Meloni, dice Giordano Bruno Guerri, giornalista, saggista e studioso del ventennio fascista, “parla di valori dell’antifascismo senza mai pronunciare la parola antifascista, come se il pronunciarla venisse considerata a destra una resa, un’ammissione di colpa. Vero è che il 25 aprile è ancora più divisivo quando governa la destra, anche se Meloni, politica conservatrice, non fa nulla di fascista, anzi. Dovrebbe invece essere vissuto come una giornata importante per tutti, una giornata che non merita questo uso strumentale”. Annalisa Terranova, giornalista e studiosa della destra italiana, individua una delle cause di sclerotizzazione del 25 aprile nella sua stessa storia: “Nella Prima Repubblica, la Dc non ha mai particolarmente insistito sulla ricorrenza, in opposizione al Pci, con la conseguenza che il Pci e i partiti alla sua sinistra sono arrivati a considerare il 25 aprile la propria festa. La Resistenza è diventata una sola, con i suoi eroi, e a mettere in dubbio la sua moralità, rispetto agli eccidi compiuti dai partigiani dopo la fine della guerra, è stato a lungo soltanto l’Msi, almeno fino alla pubblicazione del libro di Giampaolo Pansa sul ‘Sangue dei vinti’ ”. Quando negli anni Novanta la destra arriva al governo, “trascinata dal successo di Berlusconi”, dice Terranova, “c’è un momento in cui si parla di memoria condivisa: sono i giorni del dialogo tra Luciano Violante e Gianfranco Fini, i giorni della svolta di Fiuggi. La destra si inserisce nel percorso democratico, il Pci non esiste più. Il sindaco di Trieste di centrosinistra, Riccardo Illy, arriva a un certo punto a proporre di depoliticizzare la data e trasformarla in festa della primavera. Ma poi l’antifascismo diventa arma utile a demonizzare Berlusconi. E pesa ancora oggi, questo uso dell’antifascismo più umorale che politico: il 25 aprile riemergono tensioni sommerse ed esplode il livore, nonostante Meloni voglia fare del suo partito un partito a-fascista. Il risentimento, intanto, ha preso il sopravvento in piazza: tra un po’ gli estremisti detteranno la linea pure all’Anpi”. 
Marianna Rizzini

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.