I pasti di Tosi e Salvini
“Non giudicare” dice il mio maestro, e io non faccio altro che giudicare. Quando ho letto il menù dell’ultimo pranzo dei due contendenti leghisti ho giudicato e mi sono disperato: uno frittura di pesce e Gewürztraminer, l’altro filetto e Schioppettino.
“Non giudicare” dice il mio maestro, e io non faccio altro che giudicare. Quando ho letto il menù dell’ultimo pranzo dei due contendenti leghisti ho giudicato e mi sono disperato: uno frittura di pesce e Gewürztraminer, l’altro filetto e Schioppettino. Il problema è che a ordinare vino germanofono e pesce di chissà dove, in un ristorante di Milano, è stato il massimo difensore dell’autoctonia italiana. E quindi non Tosi bensì Salvini. Avrei preferito il contrario per poter interpretare la successiva rottura fra i due come un episodio della guerra del sangue (in questo caso la purezza salviniana) contro l’oro (il machiavellismo tosiano). Macché. E pensare che conosco l’incoerenza leghista da quando andai a Pontida, da quando vidi pasteggiare a Coca Cola gente che a parole voleva tornare più o meno ai confini dei Liberi Comuni mentre nei fatti dimostrava di essere totalmente mondializzata. Tornando a Salvini, un’ordinazione come la sua, cibo apolide e vino straniero, e aromatico, e in quanto aromatico femmineo, fatico a tollerarla da una donna giovane e bella: perché dovrei accettarla da un uomo con la barba? “Dal frutto si conosce l’albero”, dice inoltre il mio maestro. Le ordinazioni al ristorante sono frutti, gravidi di conseguenze a cominciare dagli spostamenti di quote di mercato da una tipologia di vino a un’altra, da una cultura a un’altra, da un sistema nazione a un altro. So di essere intollerante ma come posso non giudicare quando lo stesso libro che me lo proibisce, il Vangelo, poi mi fornisce strumenti di giudizio ineguagliabili?