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Un momento della performance di Aldo, Giovanni e Giacomo martedì al Festival di Sanremo (foto LaPresse)
Quei posseduti che guardano il Festival di Sanremo
Nelle sere in cui il canone finanzia la ricerca del Male leggo un romanzo sui cercatori di Dio: “Fervore” di Emanuele Tonon (Mondadori). “Prenditi quello che vuoi con ogni mezzo”, dicono in sogno i diavoli al novizio: precisamente quello che a Sanremo dicono cantanti il cui numero e il cui nome è ormai legione. Dura la vita dei frati cappuccini, obbligati alle levatacce e ai sandali anche d’inverno, eppure in queste pagine mistiche e oscene, jacoponiane e testoriane, i novizi sono “sognanti, deliranti, felici, così maestosamente fuori dal mondo”.
Un piccolo gruppo di “fiaccole in ginocchio”, di giovani pazzi di Dio che la severa regola dell’Ordine educa a ritenersi “minori e sottomessi a tutti”. “Fervore” non mi ha messo voglia di entrare in convento ma di ammirare chi lo fa per soddisfare “un bisogno di adorazione”: precisamente il contrario del bisogno di profanazione che anima i posseduti del Festival.