Quei posseduti che guardano il Festival di Sanremo
Nelle sere in cui il canone finanzia la ricerca del Male leggo un romanzo sui cercatori di Dio: “Fervore” di Emanuele Tonon (Mondadori). “Prenditi quello che vuoi con ogni mezzo”, dicono in sogno i diavoli al novizio: precisamente quello che a Sanremo dicono cantanti il cui numero e il cui nome è ormai legione. Dura la vita dei frati cappuccini, obbligati alle levatacce e ai sandali anche d’inverno, eppure in queste pagine mistiche e oscene, jacoponiane e testoriane, i novizi sono “sognanti, deliranti, felici, così maestosamente fuori dal mondo”.
Un piccolo gruppo di “fiaccole in ginocchio”, di giovani pazzi di Dio che la severa regola dell’Ordine educa a ritenersi “minori e sottomessi a tutti”. “Fervore” non mi ha messo voglia di entrare in convento ma di ammirare chi lo fa per soddisfare “un bisogno di adorazione”: precisamente il contrario del bisogno di profanazione che anima i posseduti del Festival.