Il maiale, un irrinunciabile oggetto pedagogico
Da venetista leggo “Sillabario veneto” di Paolo Malaguti (Santi Quaranta) e da umanista mi esalto al capitolo dedicato al mascio ossia al maiale (in lingua veneta maschio e porco tendono simpaticamente alla sinonimia) e dunque a pagina 102: “Le leggi sanitarie che hanno vietato la macellazione domestica hanno tagliato un nodo secolare di vita e di morte, di sacrificio e di paradossale gioia e dolore, che faceva del maiale un irrinunciabile oggetto pedagogico, un meccanismo catartico, un simbolo mitologico, un capro espiatorio e quindi un eroe”. Io che a Pasqua ho cucinato e mangiato agnello, purtroppo comprato dal macellaio ma spero di far meglio in futuro, sono fiero di avere almeno parzialmente riannodato un rapporto di vita e di morte, valorizzando un ovino ignaro al punto di renderlo oggetto pedagogico e simbolo religioso. Oltre al cosciotto, ideale per la festa, ho comprato delle costolette da tenere nel congelatore, in attesa di ospiti feriali: se la gastronomia è pedagogia, repetita iuvant.