Tinder non rende obsoleta la prostituzione
Leggo “L’intelligenza è un disturbo mentale” di Paolo Bianchi, edito da Cairo, un romanzo di psicofarmaci e prostituzione. Il protagonista, un depresso houellebecquiano, frequenta soprattutto studi medici, farmacie e locali a luci rosse. Che tristezza, penso, consegnarsi a Maya e allo Xanax, a Luana e al Tavor, a Jaci e all’Halcion… E non senza consapevolezza, peraltro: “La stessa scienza che cerca di spazzare via l’idea di Dio cerca adesso di salvarci dall’orrore della sua assenza”. Cerco di consolarmi ipotizzando che le app per incontri, a cominciare da Tinder, stiano per rendere obsoleto almeno un avvilimento su due, il meretricio. Chiedo lumi ad alcuni proprietari di smartphone (io saggiamente possiedo un Nokia vecchio stile) e mi rispondono di no: “La prostituzione resiste alla grande perché salta tutti i passaggi, compreso il breve corteggiamento tinderiano”. A questo punto dovrei cadere in preda allo sconforto definitivo e invece no, mi viene un dubbio: non è che le prostitute ci passeranno “avanti nel regno di Dio” proprio per il loro tenere testa al diabolico digitale?