Damiani ci ha ricordato la perenne validità dei classici
Claudio Damiani è uno dei tre o quattro poeti italiani viventi che riesco a sopportare (poche cose mi suscitano più insofferenza di un poeta che mi spedisca o minacci di spedirmi un libro di versi). Forse perché il suo atteggiamento è quello di chi vuole servire, non essere servito. Per lui la poesia, e la letteratura in genere, e vorrei dire la vita tutta, è un dovere e non un diritto. In “La difficile facilità. Appunti per un laboratorio di poesia” (Lantana) scrive che i classici vanno studiati “non tanto per appropriarcene quanto per essere accolti noi da loro”. Damiani fra i suoi maggiori annovera Orazio e Petrarca. Io da quanto tempo non rileggo le Odi e le Satire? Da quanti anni, per colpa di poetastri e romanzastri, mi disperdo e non torno presso colui grazie al quale scrivo come scrivo e penso come penso? Che Orazio mi perdoni. E da quanto tempo non leggo l’autore del Canzoniere? “Dall’Arabia io non credo ci sia venuto mai nulla di buono” scrisse nel 1370. Perenne validità dei classici.