L'utilità del latino
Vorrei vivere circondato da amici che conoscono il latino, che citano gli autori latini, che si conformano ai costumi latini. Leggo Nicola Gardini (“Viva il latino. Storia e bellezza di una lingua inutile”, Garzanti) e vorrei chiamarlo fratello sebbene, al contrario di lui, il latino io non lo conosco. Ciò nonostante o forse proprio per questo ammiro e assaporo pressoché da sempre la lingua suprema dei nostri avi (al confronto l’italiano mi sembra un dialetto).
“Grazie al latino non sono stato solo. La mia vita si è allungata di secoli” dice Gardini che è nato in un paese del Molise e insegna a Oxford e pertanto sa cosa significhi l’isolamento. Che io possa attingere alla concretezza di Cesare, alla compostezza di Orazio, alla brevità di Tacito, che la mia Roma sia quella dei politici romani di duemila anni fa, non dei politici di oggi. Gardini cita il senatore Seneca che nel “De vita beata” scrive: “La folla è la prova del peggio”. Il latino non è per nulla inutile se ha previsto il grillismo con duemila anni di anticipo.