Prego di rimanere un gastroliberale
“Be vegetarian be happy” è il nome di un piatto di Pietro Leemann, il cuoco svizzero-induista che al Joia serve le signore acattoliche e inappetenti di Milano
“Be vegetarian be happy” è il nome di un piatto di Pietro Leemann, il cuoco svizzero-induista che al Joia serve le signore acattoliche e inappetenti di Milano. Sul Corriere si vanta del succitato accrocchio di verdure arrostite, cicerchie, carote, yuzu, salsa di miso e lenticchie, siccome renderebbe le persone più felici. A me invece rende triste (mai una gioia dal Joia, né quando ci ho mangiato, né ogni volta che ne leggo). Primo perché nome anglofono e ingredienti nipponici mi ricordano di far parte di una cultura in via di estinzione. Secondo perché dimostra il declino cognitivo della élite milanese. Le signore acattoliche e inappetenti che frequentano il Joia sono, almeno dal punto di vista economico, élite milanese, eppure credono in Leemann ossia in colui che dice: “Da Joia propongo cibo che abbia una coerenza: locale e rispettoso dell’ambiente”. Locale? Gli alberi di yuzu si trovano forse al Parco Sempione? Rispettoso dell’ambiente? Il miso che arriva dal Giappone in aereo o in nave inquina meno del bitto che arriva dalla Valtellina? Leemann mi rende triste anche perché mi spinge a parteggiare per Vissani: “I vegani come tutti quelli di tutte le sette vanno eliminati” (intervista a Repubblica). Mentre io prego di rimanere un gastroliberale: un uomo che non vuole eliminare nessuno ma essere libero di mangiare ciò che vuole e di dire ciò che pensa di un cuoco intenzionato a fermare il cambiamento climatico con le cicerchie.