Quello che invidio a Moravia
Marina Ripa di Meana in “Colazione al Grand Hotel: Moravia, Parise e la mia Roma perduta” (Mondadori) ha l'accortezza di concedere molto spazio ai suoi antichi amici. Come scrittore preferisco Parise però Moravia è fonte di aneddoti più divertenti. L'autore degli “Indifferenti” non si vergognava di nulla: non della fama di taccagno; non di chiedere l’elemosina allo Stato, pur essendo ricco, per le cure dell'ex moglie Elsa Morante; non di scrivere su riviste erotiche; non di imporre le sue amanti nei premi letterari; non di sedurre ragazze di cui avrebbe potuto essere padre o nonno; non di provarci prendendo loro una mano per portarsela sulla patta: “Senti quanto è duro”. Superantipatico e arcipratico, girava armato (alzava il pullover per esibire la pistola) e agli amici attirati dai trans suggeriva le pratiche meno problematiche: “Meglio un pompino”. Era duro anche al telefono: “Ah, è lei, Serrao. Adesso riattacchi e veda di non disturbarmi più”. Riuscissi a imitarlo coi miei contatti social.