L'Abruzzo stava crollando già prima del terremoto
La desertificazione dell’Appennino significa strade e case lasciate andare
Il problema è demografico, se non l’ha fatto notare nessuno lo faccio notare io. L’Abruzzo interno prima di crollare per i terremoti e la neve stava già crollando per mancanza di abitanti. Per citare solo i comuni più duramente colpiti, Farindola dal dopoguerra a oggi ha perso il 60 per cento dei residenti, Castel Castagna il 72, Campotosto addirittura l’81. E l’età media di chi rimane è sempre più alta. Per una volta non darò tutta la colpa all’aborto, al divorzio, agli anticoncezionali, agli antisessuali, alla sodomia, insomma al veleno maltusiano che sta uccidendo l’intera nazione. L’Abruzzo montano crolla innanzitutto perché gli abruzzesi sono scesi a Roma e a Pescara, i più arditi a Bologna e a Milano, e nei paesi scarseggiano braccia, energie, idee. Il miglior soccorso è l’auto-soccorso ma come fa un villaggio ad autoaiutarsi se vi risiedono solo quattro vecchi? La desertificazione dell’Appennino (non soltanto di quello abruzzese) significa strade lasciate andare e case lasciate andare (se intorno al Gran Sasso fervesse la vita i soldi per il consolidamento edilizio si sarebbero trovati). Internet non ha mantenuto la promessa di spostare i bit anziché gli atomi, il telelavoro non funziona e chi può si inurba e chi non può rimane sotto la stalla. L’Abruzzo crolla come una quercia svuotata dai parassiti, come un pilone pieno di sabbia, e forse non c’è nulla da fare ma almeno che nessuno incolpi Dio, lo stato, l’inverno: il problema è demografico.