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Pregare che il tabarro sopravviva più a lungo della televisione
Alcuni ragazzi che mi hanno chiesto se era un costume di Carnevale
Passeggiavo con un personaggio televisivo in un mercato e lo fermavano le nonne. Un tempo lo avrebbero fermato le figlie, due tempi fa le nipoti: ma adesso le nonne. Questo per quanto riguarda il futuro della televisione generalista. Passeggiavo in tabarro nella piazza di Casalmaggiore e mi hanno fermato i nipoti. Alcuni ragazzi che mi hanno chiesto se era un costume di Carnevale: no, niente Carnevale, lo porto anche a novembre. Ma allora cos’è? Un tabarro. Mai sentito nominare: da dove viene? Non viene da nessuna parte, è nato qui, sessant’anni fa proprio su questa piazza lo portava il mio bisnonno Camillo Briaschi. Continuavano a guardarmi allibiti, avessi indossato il bianco camicione salafita o i tacchi a spillo delle drag queen mi avrebbero trovato più normale. Questo per quanto riguarda il futuro dell’eredità culturale italiana. Però non dispero. Pregare che il tabarro sopravviva più a lungo della televisione non credo sia chiedere troppo: la frammentazione mediatica non può non portare all’estinzione un dinosauro che solo di canone mangia due miliardi ogni anno, mentre un capo che costa 500-600 euri e dura un secolo senza ulteriori spese una sua nicchia ecologica potrebbe trovarla sempre.