Preghiera del ponte della Priula
A fianco del muro di lamiere un viale di cipressi, cippi, bandiere, monumenti, e dietro la spalletta il fiume sacro alla patria
Preghiera del ponte della Priula. Subito fuori dalla stazione di Susegana vedo l'ex albergo Piave che sui balconi mostra ancora i simboli di un'Italia marziale, remota all'Italia presente quanto Giulio Cesare a Virginia Raggi: elmetti, baionette e bombe a mano. Sento di essere su un crinale della storia: ma quale? Mi informo e scopro di trovarmi nella frazione di Ponte della Priula, ossario della Grande Guerra, e corro a vedere il ponte, trafficatissimo. A fianco del muro di lamiere un viale di cipressi, cippi, bandiere, monumenti, e dietro la spalletta il fiume sacro alla patria. Così veniva definito il Piave quando c'erano un sacro e una patria, quando un sindaco che avesse parlato come Chiara Appendino alla presentazione del Turin Islamic Economic Forum di lunedì prossimo, ossia che avesse auspicato la coranizzazione del nostro sistema bancario, avrebbe rischiato l’accusa di intelligenza col nemico e il plotone d'esecuzione. Quale abisso fra gli italiani di oggi e i ragazzi della Brigata Sassari che dopo Caporetto, giusto un secolo fa, passarono il ponte per ultimi, proteggendo la ritirata del grosso dell'esercito cantando “Sa fide nostra no la pagat dinari”. Davanti alla lapide sulla testata del ponte sento il bisogno di inginocchiarmi.