Occorre un non praticante per capire la Chiesa
Vittorio Sgarbi riconosce nelle chiese di Piano e di Fuksas, di Benedetti e Gregotti "la prova che la nostra fede è scomparsa”
Sulla situazione della Chiesa si ascoltino i grandi laici più dei grandi chierici. Perfino Caffarra e Negri e Burke e Sarah non dicono tanta verità sulla Sposa di Cristo quanta ne dice Vittorio Sgarbi intervistato da Cristina Siccardi in “L’arte di Dio” (Cantagalli). Sembra che andare a messa produca impedimento cognitivo, forse perché si finisce col credere che quanto si dice nella predica e nella cosiddetta preghiera dei fedeli (i momenti più pesantemente e penosamente mondani della liturgia) sia grosso modo vero. Capita perfino a un maldisposto verso i preti come me. Dunque occorre un non praticante per capire che “c’è una vera e propria sparizione del sentimento religioso. La nostra religione ha avuto un’interruzione”. Sgarbi evangelicamente riconosce l’albero dai frutti, ossia dalle chiese di Piano e di Fuksas, di Benedetti e Gregotti (io aggiungerei almeno il parmigiano Quintelli): “Sono la prova che la nostra fede è scomparsa”. Sono anche la prova, dico io, che le responsabilità di Papa Francesco sono parziali: i succitati templi dell’apostasia sono tutti di progettazione precedente.