Lo scontificio di Serravalle Scrivia e la morte del cristianesimo italiano
Il clero ha delegato la difesa della sua festa più solenne ai sindacati, alla segretaria della Cisl
“In Iraq il cristianesimo è morto”, ha affermato un ecclesiastico prima di abbandonare Baghdad. Non si pensi che in Italia sia vivo. La vicenda dello scontificio di Serravalle Scrivia è la riprova che il cristianesimo italiano “iam fetet”. Il vescovo del luogo, oggi pure lui passato a miglior vita, benedisse la struttura dicendo: “Qui tutto costa meno. Ed è giusto così”. Al solito prete ignaro del Vangelo, gli sarebbe bastato leggere la parabola del buon samaritano per scoprire che non esistono cure gratis, pasti gratis, sconti gratis. Era inevitabile che lo scontificio, perpetuamente affollato da masse “alla ricerca di un’esperienza shopping indimenticabile”, gli sconti li facesse pagare a Gesù Cristo: dapprima aprendo nelle domeniche normali e oggi minacciando di aprire nella domenica delle domeniche, a Pasqua.
Il parroco del luogo minimizza siccome il terzo comandamento non viene rispettato da tanto tempo e allora tanto vale. Insomma il clero ha delegato la difesa della sua festa più solenne ai sindacati, alla segretaria della Cisl che, intervistata da Avvenire, si è detta intenzionata a difendere Pasqua e Primo Maggio insieme (tanto per ricordarci che il cristianesimo è morto ma il cattocomunismo respira ancora). Io credo nella risurrezione della carne, figuriamoci se non credo nella possibilità della risurrezione del cristianesimo italiano: che però intanto giace a terra, esanime, fra la vetrina di Dolce & Gabbana e quella di Michael Kors.