François Pinault eclissa l'arte italiana
Le mostre a Palazzo Grassi e Punta della Dogana che costringono qualsivoglia artista italiano al ruolo di "nanerottolo"
Mi pento e mi dolgo di aver comprato un cordino per la mia croce da Dodo, negozio di ciondoli pagani: in mezzo al gran numero di coccinelle, quadrifogli, ferri di cavallo, stelle, bestie di ogni sorta, non ho visto nemmeno un crocefisso. Mi pento e mi dolgo di aver dato 16 euri al proprietario della catena ossia a François Pinault, multimiliardario che riccamente sostiene la ricchissima arte internazionale e per giunta lo fa a Venezia, dunque mettendo in ombra la povera Biennale e la poverissima arte italiana. Mi pento e mi dolgo di avere, anche se in modo infinitesimale, contribuito alla mostra kolossal di Damien Hirst, finanziata appunto da Pinault: due sedi prestigiose (Palazzo Grassi e Punta della Dogana), dieci anni di lavoro da parte dell’artista e dei suoi numerosi artigiani, una statua di diciotto metri e moltissimi altri pezzi costosissimi. Non so se sia grande arte, di sicuro è arte grande che costringe qualsivoglia artista italiano al ruolo di nanerottolo. Mi pento e mi dolgo di aver comprato il cordino che impicca l’arte italiana all’albero dell’emarginazione.