Evviva la Biennale di New York
L’arte dà il meglio sotto governi conservatori e il peggio sotto governi progressisti. Non è un caso la massiccia presenza di bei quadri a quella della Grande mela
Che sia vero quanto scrive Luca Beatrice sul Giornale recensendo la Biennale di New York: che l’arte dia realmente il meglio sotto governi conservatori e il peggio sotto governi progressisti, e che dunque non sia un caso la massiccia presenza di bei quadri nei prestigiosi spazi del Whitney Museum. Laggiù il mio artista preferito è una donna, Celeste Dupuy-Spencer, che fra le altre cose ha disegnato un raduno di trumpiani, ma senza l’atteso ingrediente del disgusto anzi con qualche simpatia (sarà per questo che Artribune parla, col naso arricciato, di “Biennale educata”). Painting first e America first: all’orgogliosa Biennale di New York i pittori sono tanti e quasi tutti americani, a quella masochista di Venezia sono pochi e quasi nessuno italiano. Siccome “la tecnica è la distruttrice di ogni fede” (Ernst Jünger) Dio preferisce la pittura, linguaggio umanistico e non tecnico come di norma le installazioni e i video. E lo ha dimostrato benedicendo, delle due Biennali in corso, i talenti di quella più pittorica e monoculturale.