Il problema non è pagare con il cellulare, ma farsi pagare
“A pagare e morire c’è sempre tempo” dicevano i vecchi commercianti. I nuovi consumatori pagheranno subito, pagheranno tutto, diventando in men che non si dica più poveri e più nudi
La mia banca, la pubblicità, la Apple, adesso guarda caso anche qualche giornalista, tutti mi spronano a utilizzare un nuovo sistema di pagamento. Si chiama Apple Pay e dicono sia molto ganzo. Dal mio punto di vista appare molto gonzo. Il vantaggio principale consisterebbe nel pagare più velocemente. Ma chiunque non viva di stipendio o di pensione, chiunque sia pertanto immerso nella struggle for life, sa che il vero problema non è pagare bensì farsi pagare. Sarebbe stata utilissima una app capace di accelerare le entrate, mentre per accelerare le uscite c’erano già tanti metodi: droga, gioco d’azzardo, night, grosse automobili, barche, champagne... Con Apple Pay (presto anche Samsung Pay e Android Pay) si avvicina la realizzazione del sogno comunista di Milena Gabanelli circa la proibizione del contante, e del sogno orwelliano dell’Agenzia delle Entrate circa la coerenza fra acquisti di gelati alla crema e reddito dichiarato. “A pagare e morire c’è sempre tempo” dicevano i vecchi commercianti. I nuovi consumatori sono ignari di tanta saggezza e quasi senza accorgersene pagheranno subito, pagheranno tutto, diventando in men che non si dica più poveri e più nudi. Io prego di potermi permettere ancora a lungo il lusso di usare un vecchio Nokia non smart e non pay.