Il Venezuela è fra noi
Non lo chiamino chavismo e non diano la colpa a Maduro. Si chiama socialismo ed è anche tra noi, solo con modi più urbani e meno folcloristici
Non lo chiamino chavismo e non diano la colpa a Maduro e non pensino che il Venezuela sia tanto lontano. Si chiama socialismo, non l’ha inventato Chávez e poi Maduro è solo una marionetta animata dall’invidia del pueblo che ha applaudito nazionalizzazioni ed espropri e limitazioni sul contante e oggi si ritrova giustamente alla fame. Il Venezuela è fra noi: nei distributori di benzina dove il 70 per cento del prezzo del pieno va allo Stato, nelle caldaie e nei condizionatori da cui d’inverno e d’estate il fisco, che si strofina le mani al pensiero della fine delle mezze stagioni, succhia il 35 per cento, nelle banche che boicottano le banconote da 500 euri, nelle case su cui grava l’Imu che è una patrimoniale periodica ossia un esproprio lento, nelle imprese grandi, medie, piccole e piccolissime zavorrate da oneri di regolamentazione tali da sbatterci a un supersocialista 136° posto delle apposite classifiche mondiali (al 138° c’è proprio Caracas). Solo che i nostri socialisti hanno modi più urbani e meno folcloristici, non portano camicie rosse, non alzano pugni chiusi, sanno mimetizzarsi. Ma il rispetto per la libertà economica, dunque per la libertà, è quello lì, preciso.