L'italiano nuoce al culto religioso
"Auden mi raccontava che a New York andava spesso nella chiesa armena e in quella russa. Diceva che era terribilmente bello essere in chiesa e ascoltare la funzione senza conoscere la lingua, perché non ci si distraeva dall’essenziale"
"Auden mi raccontava che a New York andava spesso nella chiesa armena e in quella russa. Diceva che era terribilmente bello essere in chiesa e ascoltare la funzione senza conoscere la lingua, perché non ci si distraeva dall’essenziale. Che penso sia un atteggiamento intelligente per celebrare le funzioni in latino”. Brodskij era un grande, non lo sapevo e lo scopro leggendo i “Dialoghi con Iosif Brodskij” di Solomon Volkov (LietoColle). Grande nella letteratura, grande nella sprezzatura: notevoli le pagine in cui racconta le persecuzioni che gli inflissero i comunisti e in cui non c’è odio e nemmeno perdono, solo distacco e disprezzo. Sebbene non molto religioso, Brodskij così come Auden, altro perspicacissimo esteta, sapeva che la lingua corrente nuoce al culto. In una messa in italiano e dunque abitualmente logorroica, ingombra di monizioni, di avvisi, di discorsi sentiti dal prete la sera prima alla tv, la parola che più avvicina a Dio, forse l’unica parola che davvero avvicina a Dio, è ebraica: amen.