Nomi da terrorista
Nel modo di chiamare i propri figli si nota la volontà di integrazione
Che io non sia razzista ma culturalista lo dimostra il fatto che agli arabi tendo ormai a preferire addirittura i cinesi, sebbene molto più distanti dal punto di vista fenotipico. Perché in questi ultimi si nota una qualche minima volontà di integrazione: l’industriale automobilistico cinese Wei Jianjun adesso che vuole comprare un marchio americano si fa chiamare Jack Wey. So bene che è una scelta strumentale: ma è comunque un partecipare alla cultura Usa. E quello di Wei/Wey non è un caso isolato, sono tanti ad esempio i cinesi italiani che si fanno chiamare, o chiamano i propri figli, con nomi italiani. Partecipando così alla cultura italiana. Mentre gli arabi musulmani residenti in Europa continuano a chiamarsi, e a chiamare i loro figli, Mohammed. Un nome che dimostra la volontà di non integrarsi ma semmai di disintegrare (innanzitutto l’onomastica dei popoli ospitanti e poi magari qualcos’altro, in ossequio alle esortazioni del profeta eponimo). Non si temano soltanto gli imam che incitano al terrorismo, si temano anche i nomi che incitano al terrorismo.