Il sovranismo italiano non ha futuro. Lo si capisce dai nervetti
Se siamo innanzitutto quello che mangiamo, gli italiani sono in stragrande maggioranza già perfettamente globalizzati. Matteo Salvini docet
Nessuno consideri il sovranismo un pericolo: il sovranismo, almeno quello italiano, non ha futuro. Se siamo innanzitutto quello che mangiamo, gli italiani sono in stragrande maggioranza già perfettamente globalizzati. “La cucina del territorio è finita” mi dice Bassano Vailati, cuoco-ortolano ed eroe della cucina lombarda. Nella sua trattoria di Madignano serve nervetti eccelsi eppure i nervetti non li vuole più nessuno. Non li vuole nemmeno Matteo Salvini che intervistato sull’argomento ha detto i nervetti no, meglio i ravioli cinesi. I ravioli c-i-n-e-s-i. Del resto l’attuale capo della Lega è il successore di colui che pranzava a pizza e Coca-Cola, non certo a busecca e Barbera. Ma più che una questione politica è una questione antropologica: i libri di Carlo Petrini, gli articoli di Paolo Massobrio, le recensioni di Gianni Mura, di Camilla Baresani, di Roberta Schira e degli altri, mi ci metto anch’io, che per anni hanno cercato di mostrare bontà e bellezza della cucina regionale, non potevano guarire un popolo malato di estinzione. Il cibo lento, le chiocciole, il chilometro zero sono un rosario di sconfitte. Bassano mi racconta sconsolato che i clienti mondialisti liquidano il suo menù con queste parole: “Le solite cose”. E sono invece cose peculiarissime e sempre più rare (nervetti mai così morbidi, salami mai visti, tortelli cremaschi che ne mangeresti una zuppiera) mentre soliti, prevedibili, ubiquitari sono i paccheri, gli hamburger, il sushi. A mangiare i nervetti siamo rimasti in quattro gatti e nemmeno abbiamo sette vite: nessuno ci tema.