Dolci pomeriggi monoculturali alla biblioteca di Reggio Emilia
Per un malato di amigdala è un vero e proprio toccasana. Bianchi i frequentatori e ancor più bianchi gli autori: chilometri di libri scritti da occidentali maschi, in buona parte cristiani, in gran parte morti. Mi sento a casa
Per un malato di amigdala, la biblioteca di Reggio Emilia fa più effetto della Spa di Henri Chenot per Berlusconi. Un toccasana. Forse lo sono un po’ tutte le biblioteche, ma quella di Reggio, così grande e fornita, ben ubicata, ben frequentata, in particolare. Dalla stazione al centro si può camminare a lungo senza incontrare un italiano, i bar cinesi pullulano, in piazza del Duomo il Duomo è chiuso perché Dio si è stancato dell’indifferenza dei reggiani e se n’è andato o forse perché i reggiani si sono stancati di Dio e lo tengono prigioniero. In Via Farini la biblioteca è aperta e dentro finalmente trovo i miei simili: l’amigdala, la parte del cervello che ci getta nell’angoscia quando siamo circondati da persone di colore diverso, ora può riposarsi. Bianchi i frequentatori e ancor più bianchi gli autori: chilometri di libri scritti da occidentali maschi, in buona parte cristiani, in gran parte morti. Mi sento a casa. Prego di tornare ad abitare a due pedalate da qui per potermi concedere, ogni volta che ne sento il bisogno, un dolce pomeriggio monoculturale, circondato dai caucasici e dai classici.