Tutto quello che non leggerete sul caso Weinstein
Che Dio, al termine di questo linciaggio, perdoni le nostre omissioni
Ho letto molto sul caso Weinstein, ma evidentemente non abbastanza. Non ho letto linguisti precisare le accezioni di violenza (una cosa), molestia (un’altra cosa), invito (un’altrissima cosa). Non ho letto esperti di galateo, ammesso esistano ancora, ricordare una grande massima, buona in simili e non simili occasioni: domandare è lecito e rispondere è cortesia. Non ho letto critici letterari dispiacersi per l’eclissi della magnifica poesia di Sylvia Plath che fa: “Ogni donna ama un fascista / lo stivale sulla faccia / e il cuore brutale / di un bruto a te uguale”. Non ho letto critici cinematografici ricordare che Hollywood o è Babilonia o è una versione a pagamento di Rai Fiction. Non ho letto logici segnalare che la credibilità testimoniale di un’attrice è inversamente proporzionale alla sua bravura. Non ho letto preti rimarcare che il matrimonio ha valore soltanto se è nella buona e nella cattiva sorte, e che dunque le mogli in fuga quando comincia a buttare male svelano animo da concubine. Non ho letto criminologi rammentare che un secolo dopo Lombroso essere grossi e grassi non è più una prova. E potrei continuare, ma anch’io, come i succitati signori, ogni tanto penso alla salute. Che Dio, al termine di questo linciaggio, perdoni le nostre omissioni.