Ma come parli, arcivescovo?
L'arcivescovo di Milano esorta i giovani ad andare a votare. Come fosse un presidente della Repubblica o un prefetto
Ma come parli, arcivescovo? Monsignor Delpini, arcivescovo di Milano, perché scrivi ai diciottenni una lettera di esortazione al voto? Non sei il presidente della Repubblica, non sei nemmeno il sindaco o il prefetto: se credi che un diciottenne ti possa dar retta dovresti esortarlo ad andare a messa. “Si merita di più ascoltando devotamente una Santa Messa che a pellegrinare per tutta la terra”, disse San Bernardo, tu invece credi nel pellegrinaggio al seggio elettorale: ma questa cosa è religione civile, è Rousseau, è idolatria… E perché caspita hai citato Pericle come maestro da seguire? Pericle era un demagogo, un guerrafondaio e soprattutto un pagano, mentre noi crediamo in Cristo (che nella tua lettera non appare mai). Del politico greco citi un discorso particolarmente balordo, in cui si giudica inutile chi non si occupa degli affari pubblici: dunque i monaci eremiti e le suore di clausura sono inutili? Parli di “diritto-dovere di votare”: dunque sei un adoratore del vitello di carta, dell’articolo 48 che definisce il voto un “dovere civico”? Io, da cattolico, alla Costituzione antepongo il Vangelo e i miei doveri si chiamano precetti: nel Catechismo ce ne sono cinque e nessuno ha a che fare con la politica. Parli come Talleyrand, Monsignor Delpini, come quei vescovi cosiddetti costituzionali che durante la rivoluzione francese scelsero di servire lo stato anziché la Chiesa. Ma loro avevano un’attenuante: chi non giurava fedeltà alla Costituzione repubblicana rischiava la testa. Tu invece quale attenuante hai, Monsignore?