Cosa insegnano alle élite i ritratti di Michelle e Barack Obama
Quella italiana continua a non essere iconograficamente pervenuta, forse perché immagina l’arte come ammirazione dell’antico e non come produzione del nuovo
L’appartenenza all’élite va meritata anche dal punto di vista iconografico. Da che mondo è mondo gli esponenti delle élite si fanno immortalare dai pittori del proprio tempo. Parlare di papi e condottieri è troppo facile, parlo dunque di viventi. La regina Elisabetta, élite suprema, non molti anni fa ebbe il coraggio, o la sovrana sprezzatura, di farsi ritrarre dal malevolo Lucien Freud. Oggi a farsi ritrarre è la coppia Obama. In quanto élite di rango inferiore, elettorale, Barack e Michelle hanno scelto due artisti migliorativi appartenenti alla loro stessa parrocchietta afro-americana, tuttavia bravini. Come sempre in questi casi, sono scaturiti vantaggi per tutti: ai pittori la visibilità, ai politici la durata. L’élite italiana continua invece a non essere iconograficamente pervenuta, forse perché immagina l’arte come ammirazione dell’antico e non come produzione del nuovo. Dopo la morte, tanti anni fa, di Annigoni e Guttuso, gli italiani eminenti sono scomparsi dalle tele degli eminenti artisti. Non sono a conoscenza di ritratti di Calenda o Gentiloni, Montezemolo o Del Vecchio, Ferrero o Barilla… Non che i pennelli di Gasparro e Mannelli e Robusti giacciano inoperosi: ma dipingono altri. Torni l’élite italiana negli studi degli artisti, laddove si fonda (parola di Jean Clair) “la permanenza della persona e la forza della sua autorità”.