La saggezza discreta e rispettosa di Giuseppe Sgarbi
Una lunga vita all’insegna del realismo e di un edonismo ben temperato, dedicata alla farmacia, alla famiglia e, nel tempo libero, alla pesca
“Le novità turbano quell’ordine delle cose che mi piacerebbe immutabile. Sarà che la realtà mi è sempre andata bene com’era. Sin da quando ero bambino. Belli i miei, bella la casa rossa, bello il mulino, bella la bicicletta, belli gli amici e le ragazze, bellissimo il fiume: che motivo avevo di cambiare?”. Io sono un conservatore e ne ho letti di autori conservatori, ma un conservatore più conservatore di come Giuseppe Sgarbi appare nel suo libro postumo, “Il canale dei cuori” (Skira), non lo avevo mai conosciuto. Prezzolini, Gómez Dávila, Scruton sono dei frenetici futuristi in confronto a Sgarbi senior: “Per novant’anni sono rimasto in silenzio. Cosa ho fatto? Ho ascoltato”. Il padre di Vittorio, molto diverso dal figlio, racconta una lunga vita all’insegna del realismo e di un edonismo ben temperato, dedicata alla farmacia, alla famiglia e, nel tempo libero, alla pesca praticata insieme al cognato: in un fiume piccolo, il veneto Livenza, di pesci piccoli, temoli, alborelle, quanto di più lontano dai marlin dell’esagerato Hemingway. Le parole ricorrenti di questo libro altrettanto piccolo, permeato di senso del limite, sono “discrezione” e “rispetto”. Mi inchino di fronte a una saggezza che non ha novant’anni bensì venticinque secoli, discendendo dalla massima scolpita sul tempio di Apollo a Delfi: “Niente in eccesso”.