La vita di Carlo Ripa di Meana al cinema
Un tributo cinematografico a Sodoma è indispensabile e nella vita dell’ultimo marchese libertino, colui che meritò il soprannome di Orgasmo da Rotterdam, non manca nulla
Perdere due maestri nel giro di poche ore, un duro colpo per me. Ma se Dorfles è stato un maestro di arte, Ripa di Meana è stato un maestro di vita. Ovviamente irraggiungibile: non sono marchese, non sono politico, e sono cattolico, dunque il grande libertinaggio sulla linea Casanova-D’Annunzio-Sgarbi non posso che ammirarlo da una certa distanza.
Tutti costoro hanno vissuto gloriose stagioni veneziane e così Ripa di Meana che come Byron, altro campione di vitalismo, abitò nei pressi di Santa Maria del Giglio. Poi però, 1976 o 77, si trasferì in Rio Terà dei Catecumeni: “Abitavo con il mio amico fotografo Lorenzo Capellini. In quella casa si insediò il regno dell’armonia e dei liberi costumi. Era un viavai di ragazze e donne di ogni età e provenienza che, con gioia, partecipavano agli eventi personali della nostra comune”. Traggo il virgolettato dalla sua autobiografia, “Cane sciolto” (Kaos edizioni), disponibile su Ibs in due giorni lavorativi, e sono così prodigo di informazioni affinché qualche cineasta la compri e ne rimanga sedotto. Nel cinema contemporaneo un tributo a Sodoma è indispensabile e nella vita dell’ultimo marchese libertino, colui che meritò il soprannome di Orgasmo da Rotterdam, non manca nulla: “Nei pressi di Parco Ravizza vidi alcune donne con delle gambe forti, iperboliche nelle calze a rete. Mi fermai e feci salire una iperdonna, rossa, con la voce da uomo, Gianna. Appena lei mi toccò le bagnai il ventre, gli stivali di vernice nera, il tanga amaranto...”. Non penso sia difficile ricavare una bella sceneggiatura da un simile soggetto: qualcuno lo faccia e ci restituisca quegli anni sfrenati, quell’uomo audace.