“Solo scopando si è vivi”. Ecco perché non leggerò Philip Roth
Ho capito cosa mi tiene lontano dall’illustre defunto. A chi propone di "scopare" per sentirsi vivo preferisco chi riesce a mostrare la vita dove non sembra essercene molta
Non ho mai letto nulla di Philip Roth, in questi giorni ho letto molto su Philip Roth. Devo dire che nessuno dei millanta necrologi è riuscito a farmi pentire, a convertirmi, a convincermi che fosse necessario correre a comprare un qualsiasi libro dello scrittore americano. Ma ho capito il problema, cosa di preciso mi tiene lontano dall’illustre defunto, soltanto quando ho letto un pezzo di Vanni Santoni. “Solo scopando si è vivi”: ho scoperto essere questa l’idea alla base dell’opera rothiana. Non mi sembra un’idea originalissima (non l’aveva già espressa Henry Miller?). Non mi sembra un’idea da promuovere. Forse, qualora ci si riferisse esclusivamente al coito vaginale completo, non interrotto, praticato con donne fertili che non usano anticoncezionali, sarei tentato dall’acconsentire. Ma a parte che l’accezione rothiana della parola “scopare” potrebbe essere diversa (chiederò lumi a Santoni che invece Roth lo ha letto), vorrebbe dire che i casti, gli impotenti, i disinteressati, gli infecondi, gli impossibilitati sono quasi morti. E’ un pensare da becchini. E da artisti deboli: ritengo grande colui che anziché ribadire le gerarchie esistenziali più ovvie riesce a mostrare la vita dove non sembra essercene molta. Prego affinché sorga un nuovo scrittore munito della seguente idea: “Si è vivi sempre”.