Un eroe dell'edonismo
Vedendomi col braccio ingessato, mi racconta le sue fratture. Da Panarea a Roma. Le cene, le donne e un cappello rosso. Che Epicuro lo accompagni sempre
Sempre alla ricerca di maestri, di esempi, di persone che non valgono uno bensì mille, trovo un eroe dell’edonismo. Non dirò il suo nome per non danneggiarlo. Vedendomi col braccio ingessato (non eroica caduta dalla bicicletta), mi racconta le sue fratture. Vent’anni fa si rompe l’omero sinistro a Panarea: niente paura, prende antidolorifici e non cambia programmi, continua la vacanza sull’isola (“Ho finito di leggere Virginia Woolf”), solo dopo tre o quattro giorni prende l’aliscafo e sbarca a Napoli dove ha la macchina che però non si sente di guidare, prende un taxi e si fa portare a Sant’Agata sui Due Golfi (56 chilometri) dove ha prenotato cena e camera al Don Alfonso 1890, il giorno dopo chiama un’amica, si fa venire a prendere e portare a Napoli dove stavolta si mette alla guida, insieme arrivano in Umbria, altra grande cena, altra grande camera, amplesso, il dolore si fa insopportabile e a questo punto rientra, guidando fino al pronto soccorso di Parma. “Bisognava operare, ma che vacanza!”. Due anni fa si rompe l’omero destro a Roma, sulla scalinata di San Giovanni in Laterano: niente paura, prende antidolorifici e non cambia programmi, prende un taxi, si fa portare al già prenotato ristorante Metamorfosi, gusta la cucina di Roy Caceres (se ha mangiato il crudo d’agnello lo invidio il doppio), prende un altro taxi e si fa portare al negozio Borsalino dove compra il cappello rosso che mancava alla sua collezione di cappelli, solo a questo punto si dirige verso il pronto soccorso di Parma, prendendo il treno a Termini. Che Epicuro lo accompagni sempre.