A morte i premi letterari, viva Enrico Brizzi
Ha ragione Lorenzo Tomasin, il più esigente giurato del Campiello: i libri sono scritti tutti con la stessa lingua, se strappi le copertine non riconosci un autore dall’altro
Ha ragione Lorenzo Tomasin, il più esigente giurato del Campiello: i libri sono scritti tutti con la stessa lingua, se strappi le copertine non riconosci un autore dall’altro. Bisogna pertanto lodare le eccezioni, ad esempio “Tu che sei di me la miglior parte” di Enrico Brizzi (Mondadori). L’ultimo romanzo del Gran Mitopoietico Felsineo, capace di fare epica su partitelle in parrocchia e concerti di liceali, non l’ho letto se non in minima parte perché sono un ragazzo sentimentale e mi è venuto da piangere soltanto a leggere il risvolto annunciante una Bologna degli anni Ottanta e Novanta. Mi sono limitato alle pagine 69 e 99, il carotaggio insegnatomi da Mariarosa Mancuso. Ci ho trovato parole e cose come “il cappello a punta del somaro”, “il lancio di torsoli”, un “babbo pompiere”, una “donna nuda”, “l’immagine sacra della Vergine di San Luca”, una “gran manata”, la strepitosa esclamazione “zio giaguaro!”, insomma l’inconfondibile voce giovanil-conservatrice di Brizzi, l’accento di quella Bologna che tanto mi commuove. A morte i premi letterari, viva Enrico Brizzi e la Madonna di San Luca!