La fortuna di chi beve vino nel 2018
Siamo passati da vini che sapevano di legno a vini che sanno di uva, di ciliegia, di mirtilli, di fiori: la nostalgia non ha ragione di essere, sia lodato il bicchiere presente
“Era l’epoca dell’adorazione di rossi corpulenti qualunque fosse il vitigno generatore, ottenuti o da uve iperconcentrate in vigna (nei casi migliori: con rese di due grappoli l’ettaro), o con tecniche di estrazione senza mezze misure in cantina: salassi dei mosti, rotomacerazioni a velocità Mach3, osmosi inversa. Ora quel mondo non c’è più, quei pachidermi si sono pressoché estinti”. Questo virgolettato da “Vini da scoprire. La riscossa dei vini leggeri” di Armando Castagno, Giampaolo Gravina e Fabio Rizzari, edito da Giunti, mi ricorda che alcune cose vanno male e però altre vanno bene e il vino in particolare va benissimo. Il bevitore del 2018 è un privilegiato rispetto a quello del 1998. E’ vero che adesso ci sono troppi vini Bio, ma alcuni sono buoni, mentre allora erano troppissimi i vini Barrique, e nessuno era buono. Siamo passati (o stiamo passando, i pachidermi enologici non si sono del tutto estinti, si sono molto ridotti di numero) da vini che sapevano di legno a vini che sanno di uva, di ciliegia, di mirtilli, di fiori: la nostalgia non ha ragione di essere, sia lodato il bicchiere presente.