Zanza è morto in gloria. Onore a Zanza
Maurizio Zanfanti, re dei vitelloni romagnoli, è deceduto fra le braccia di una ventitreenne, lui che di anni ne aveva 63. Come un tempo, devo reprimere un pizzico di invidia
Quando cominciai a frequentare la riviera romagnola, molte vite fa, mi sembrava già in declino. Camicia aperta sul petto, boccoli biondi e catene d’oro lo rendevano ai miei occhi un personaggio folcloristico, un prodotto turistico, per straniere (le ragazze italiane di mia conoscenza lo giudicavano pure peggio). Sicuramente occultavo un pizzico di invidia e più di un pizzico di ammirazione, sentimenti che però non reggevano al primo ragionamento utile: duecento donne a stagione non sono un piacere, sono un lavoro, anche abbastanza da facchini. Le rare interviste degli ultimi tempi fotografavano soprattutto il lato patetico del vecchio playboy. Eppure l’altra notte Maurizio Zanfanti in arte Zanza è morto in gloria, fra le braccia di una ventitreenne, lui che di anni ne aveva 63.
Mi è venuta in mente una canzone dell’ultimo Lucio Dalla: “Solo così ti godi Rimini / solo così si resta giovani / amami!”. Gli amici riminesi che ogni tanto lo incontravano mi hanno subito detto che, avesse potuto scegliere, probabilmente avrebbe scelto di morire così (magari non ora, magari un po’ più avanti, ma così). Mi hanno anche detto che era rimasto un adolescente e che, al contrario di tanti suoi cinici seguaci, era una persona buona. La morte in camporella sulla collina della sua città, in una di quelle macchine appartate che sono appunto l’alcova dell’amore ragazzo, non certo sessantenne, ha chiuso un cerchio perfetto, ha suggellato una vocazione. Come tanti anni fa, devo reprimere un pizzico di invidia. Ma stavolta non intendo nascondere l’ammirazione per tanta instancabile dedizione alla causa: onore a Zanza.