Le parole più belle del libro di Scolastici non sono di Scolastici
Lo scrittore-allevatore suscita rabbia ma anche ammirazione. Le ragazze corrano a pagina 51 e imparino il vero amore
“Cosa mi importa se si soffre, io voglio con te dividere dispiaceri e piaceri”. Le parole più belle del libro di Marco Scolastici (“Una yurta sull’Appennino”, Einaudi) sono della bisnonna che, si legge in un diario giunto al bisnipote, impose al bisnonno la sua presenza nella transumanza durissima (freddo, fame, fatica). Lo scrittore-allevatore Scolastici mi suscita rabbia da tanto è conformista (“Il mio obiettivo era costruire un’azienda condotta con metodo di agricoltura biologico; conforme e certificata da Icea, Istituto certificazione etica e ambientale”) e ammirazione per come ha testimoniato, prima, durante e dopo il terremoto che ha colpito le Marche nel 2016, appartenenza alla “lunghissima catena che mi lega a mio padre, a nonno Raimondo, al bisnonno Venanzio e a tutti gli avi lontani e sconosciuti che non hanno posseduto capi, ma li hanno pascolati e tosati per altri, come l’ottanta per cento dell’umanità che abitava i Sibillini: pecore e capre. Lana e formaggi. Tutta la loro vita”. Ammirazione doppia per la bisnonna, comunque: le ragazze corrano a pagina 51 e imparino il vero amore.