Una Milano da soffrire
Alla scoperta di una città prodiga di vessazioni e complicazioni
Ci vuole un certo masochismo per andare oggi a Milano, un certo disamore per la propria libertà. Piccola cronaca: sono costretto a dormirci un giorno in cui tutti gli alberghi sono pieni, fra centro e stazione sembra sia rimasta solo una camera in un quattro stelle di catena (parola con accezioni carcerarie) che mi preleva i soldi dalla carta di credito prima del soggiorno dunque privandomi della libertà di cambiare idea o nel frattempo, che so, di morire. Siccome nel frattempo non sono morto, riesco a usufruire della camera e il mattino dopo mi spingo nella poco amena via Felice Casati per fare colazione in quella che secondo i miei informatori è la migliore pasticceria fra stazione e centro. La voce si dev’essere sparsa e c’è la fila (parola triste che mi ricorda lager, prigioni, mense dei poveri). Sulla porta una guardiana mi blocca, cerca di respingermi, riesco a entrare in qualche modo ma trovo fila anche al bancone e getto la spugna, vado a fare colazione altrove. Intorno a mezzogiorno capito in via Tortona e vorrei approfittarne per bere qualcosa in un locale famoso per il gin ma il personale nerovestito mi spiega che a quest’ora è obbligatorio pranzare, limitarsi al bere non si può, il gin è consentito dalle 19 in poi. Tornare in centro, dove magari è consentito bere anche a mezzogiorno, risulta penoso perché a Milano nemmeno il trasporto è libero, UberPop l’hanno vietata e i taxi bisogna mendicarli, aspettarli quarti d’ora. Scopro dunque una Milano da soffrire, prodiga di vessazioni e complicazioni causate o aumentate dal troppo pieno, dallo strabordante successo turistico. Possa la mia vita svolgersi in un’Italia meno stipata e più accogliente, Faenza, Fidenza, Rovigo, Bassano, Ascoli Piceno…