Il vino e la bellezza dei Baustelle
“Il minotauro di Borges”, dal loro ultimo disco, mi suscita la stessa domanda che mi suscitano certi articoli di Emanuele Severino
Sono con Francesco Bianconi. Siccome è di Montepulciano, siccome ha scritto un verso come “ho la febbre ma ti porto fuori a bere”, voglio sollecitarlo sul vino, per un mio libro sull’argomento. E di vino parliamo a lungo, in un caffè del quartiere milanese dove vive, l’Isola, senza peraltro ordinare nulla di alcolico perché noi decadenti ci svegliamo tardi e le undici sono l’ora del cappuccino. Per non fare la parte patetica del fan mi attengo al tema e non gli dico che considero certe sue canzoni troppo belle, troppo elevate per gli italiani odierni. Glielo dico ora, qui. “Il minotauro di Borges”, dall’ultimo disco dei Baustelle, mi suscita la stessa domanda che mi suscitano certi articoli di Emanuele Severino, certi libri di Giampiero Mughini, certi nudi di Riccardo Mannelli, certe tele di Marta Sesana, certe sale di Franco Maria Ricci, certi edifici di Pier Carlo Bontempi, certi gioielli di Lia Di Gregorio, certi piatti di Daniel Canzian, certi vermut di Baldo Baldinini, certi suoni dei Coma Cose: c’è qualcuno là fuori in grado di apprezzarli? Ho evocato autori e artefici dei più svariati linguaggi e ambiti, accomunati dal frequentare vette estetiche irraggiungibili dall’attenzione di massa. A Orazio bastava l’applauso delle prime file. Ma esistono ancora le prime file?