Che qualcuno mi insegni a chiagnere e fottere come Chef Kumalè
Lascia la “Prova del cuoco” perché, a suo dire, i crudeli autori lo volevano costringere a preparare una parmigiana di melanzane, piatto troppo monoetnico per i suoi gusti multi
Che qualcuno mi insegni a chiagnere e fottere, antico metodo efficacissimo anche in questo tempo dominato dal vittimismo. Chef Kumalè, all’anagrafe Vittorio Castellani, ha lasciato “la Prova del cuoco” perché, a suo dire, i crudeli e forse sovranisti autori lo volevano costringere a preparare una parmigiana di melanzane, piatto troppo monoetnico per i suoi gusti multi. E questo attiene al chiagnere. Poi c’è il fottere: le cucine straniere che da 27 anni Kumalé promuove senza requie sono supportate da una demografia arrembante che le sta imponendo in un’Europa sterile e deculturata. Anche tra i fornelli dei ristoranti italiani avanzano gli asiatici, i sudamericani, gli africani, e assieme al lavoro portano la loro cultura ossia ingredienti e ricette. Altro che parmigiana di melanzane. Già oggi fatico a mangiare parmigiano a Parma o milanese a Milano, mentre gli involtini primavera (che a Kumalè devono piacere un sacco visto che non si vergogna di citare Mao Tse Tung) li posso mangiare ovunque e a ogni ora del giorno e della notte. Che qualcuno mi insegni a chiagnere e fottere: oltre che monoetnico sono monotasking, maledizione.